martedì 30 luglio 2013

Rubrica: "Storie di famiglia" - La signora Paplova



La signora Darina Paplova era seduta in cucina. Qualcosa non le tornava. Aveva speso 30 centesimi per il latte, 65 per il formaggio, 20 per una bella grossa micca di pane e si era concessa, come ogni venerdì, una copia della rivista "Giardinaggio e amore". 145 centesimi in tutto. Non si stava sbagliando. Eppure, in tasca, le era rimasta solo una sgualcita banconota da un dollaro. Dove era finito il resto? Controllò nuovamente il piccolo borsello in pelle, aveva due fermi in ottone durissimi e per questo veniva aperto solo quando era necessario. Niente. Vuoto. I polpastrelli dei pollici le bruciavano ma più ancora la infastidiva non venire a capo della faccenda. Erano periodi difficili, si pativa la fame e non si aveva mai abbastanza, non era proprio il caso di perdere del denaro. Al piano superiore sentì battere il bastone di sua suocera. Toc Toc Toc tre volte, pausa, altre tre volte, la stava chiamando. Amanda Chiarimbotto aveva 78 anni, i denti gialli e il carattere di una tigre malese. Aveva seppellito due mariti, cinque figli e otto schnauzer. Comandava ancora. Sdraiata nel letto, avvolta da una leggerissima coperta in seta aspettava la nuora per interrogarla sull'andamento della famiglia. 
- Quindi? -
La Signora Paplova sapeva bene che mentire non sarebbe stata una mossa vincente. Le guance le si velarono di rosso e cercando di mantenere un tono autoritario rispose alla vecchia.
- Ho fatto la spesa, sistemato l'orto, lucidato i vassoi che si stavano annerendo. Dovremmo chiamare l'idraulico, il rubinetto del bagno funziona a singhiozzo. - 
Aveva parlato senza prendere fiato, nemmeno una volta.
- Mmm mmm - 
Madama Amanda fece scorrere la lingua sopra entrambe le labbra, sistemò il cuscino in modo da mettersi più dritta e alzò il tono della voce fulminando con entrambi gli occhietti grigi la poveretta.
- C'è dell'altro? - 
- Non trovo 63 centesimi. Ho controllato ovunque. Credevo di averli appoggiati nel vaso all'ingresso. Mi sarò sbagliata ma ... -
- Non preoccuparti. - 
Con un gesto della mano l'anziana la congedò.
Darina era sempre più confusa, era abituata alle stranezze della megera ma non si sarebbe mai aspettata tanta pacatezza: per quanto riguardava i risparmi Amanda Chiarimbotto era più rigida di una banca Svizzera.
Poco male. Si accese una sigaretta e sprofondò nella poltrona del salotto. L'indomani sarebbe tornata al negozio.
I giorni passavano, le giornate a poco a poco diventavano sempre più lunghe e l'umore della Signora Paplova più instabile. Qualcuno la stava derubando. Era come se un entità malvagia le stesse nascondendo monetine su monetine. Con piglio da investigatrice iniziò a stilare una lista delle possibili cause. La prima, quella che le pareva più conveniente, era anche la più facile da verificare. La verità è evidente. A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire: la via da seguire sarebbe stata quella del rasoio di Occam. Iniziò quindi a sospettare che la vecchia signora fosse diventata cleptomane. Un lunedì, con la scusa di rifarle la stanza si mise a frugare in ogni dove ma, non senza un certo disappunto, constatò che  non c'era nemmeno un soldino, nemmeno per sbaglio. Evidentemente non era stata lei, le fu subito chiaro. Come se non bastasse, quella stessa sera, perché i pensieri – si sa - non vengono mai da soli, una brutta febbre si impadronì di Amanda Chiarimbotto. Una febbre profonda, indistruttibile e malvagia. La pelle della donna sudava ogni liquido presente in corpo, la nausea vinceva sulla fame e crampi muscolari alle gambe aumentavano ogni afflizione. Gli impacchi non avevano alcun effetto.
Il dottore arrivò solo nel tardo pomeriggio di giovedì. Darina sospettava che molti anziani fossero affetti dal brutto male che aveva colto sua suocera, quel ritardo era comunque un'ingiustizia.
- Salve. -
- Quali sono i sintomi? - 
Il medico si muoveva con sufficienza, alleggeriva le mani con l'aria, sollevava il polso della paziente con due dita e evitava di sedersi.
-Ha la febbre alta, l'alito cattivo e delira. -
- Deliri? Che dice? -
- Non saprei dottore, solo poche parole pronunciate a fil di voce. -
Madama Chiarimbotto era inverdita: sembrava essere invecchiata di altri mille anni. Una mummia egizia fatta e finita, ecco cosa ricordava alla signora Paplova. Per quanto crudele fosse quell'esile vecchina, per Darina era tutta la sua famiglia. Aveva lasciato Mosca da più di vent'anni e sua madre da sempre. In quel momento, stordita dall'inevitabile che  sembrava avverarsi, lei era sinceramente preoccupata.
- Abbiamo un blocco. -, sentenziò il dottore interrompendo i pensieri della Signora Paplova.
- Un blocco? -
- Sì, e dei più consistenti, oserei dire. - 
Spostò gli occhiali sulla punta del naso, un gesto che in gioventù aveva certamente provato spesso davanti allo specchio.
- Qui. -
L'omino indicava serio il basso ventre della malata.
- Quando ha defecato l'ultima volta? -
- Ohhh proprio non lo so, non le conto, dovrei? - 
- Non sa? Non conta? Dovrebbe farlo, certo che dovrebbe. -
Scuoteva l'indice con estremo disappunto.
- Questo è grave, molto grave! - sospirava - Si ricordi: il benessere intestinale è tutto per le persone di una certa età!!! -
- Me ne ricorderò. – 
La nuora al solo sentir parlare di argomenti così intimi e sporchi diventava di sasso e perdeva il buon uso della parola. Avrebbe voluto essere ovunque, anche in guerra. E  credere che fino a qualche ora prima il suo problema più grande era una manciata di spiccioli spariti. 
Il medico salutò e categorico impose le sue condizioni: somministrare alla minuta Amanda Chiarimbotto  un beverone di dimensioni inimmaginabili e un clistere proporzionato.
- Santo cielo! - 
Non disse altro la Signora Paplova.
Armata di pazienza e anche di una discreta dose di coraggio sollevò le fini vesti della suocera. Chiuse gli occhi e attese l'urlo di dolore.
Silenzio.
Un rumorino sordo.
La cannula non passava: Madama Amanda era troppo contratta. Quella tortura non avrebbe avuto seguito, ma il supplizio dell’anziana era solo rimandato a mani più esperte.
Avvolta dalle note di Bach, Darina rimuginava sugli ultimi avvenimenti.
Altri 25 centesimi spariti. Forse stava impazzendo? Era da molto che non si dedicava a se stessa. Non si concedeva un’uscita, frivola, con le poche amiche che aveva saputo coltivare negli anni, da almeno dieci mesi. Quell'odore stantio e quell'atmosfera bigia le stavano corrompendo il cervello, fino a confonderla.
Che l'indomita vedova Chiarimbotto fosse giunta al capolinea? Che ne sarebbe stato di lei? Non voleva pensarci. Ma la testolina della Signora Paplova non la smetteva di creare scenari disastrosi e di ricorrere alla più folle fantasia per dare una spiegazione razionale a quello che stava accadendo.
"Un malvivente, un circense, un losco figuro si sta nascondendo nella nostra casa", schioccò il pollice e il medio, certa di aver trovato la soluzione. “Un’ ipotesi intelligente, perfetta.” Aveva trovato una spiegazione ai furti, ai fastidiosi rumorini notturni e anche all'inguaribile malattia della suocera. La vecchia era stata avvelenata. "Povera donna". Anche le frasi sconnesse che esanime questa borbottava si ammantavano di una solida verità. Il sonno le avrebbe portato consiglio e con una gioia inadeguata Darina si addormentò.
Così come era entrato, il litro di tisana pareva non essere uscito dal corpicino esausto di Amanda. La febbre non diminuiva e il battito del cuore era lo spettro di un suono un tempo vigile e possente.
- E' nascosto qui-, sussurrava la millenaria. Il collo le si irrigidiva e l'illusione di una fissità antica, tipica delle statue, la invadeva. - I soldi... -, continuava - I soldi...al sicuro ... i soldi ... -
Già! Stavano finendo anche quelli. Senza le indicazioni della suocera la Signora Paplova non poteva adempiere ai suoi compiti e ben presto sarebbero morte di stenti. Amanda nascondeva i suoi risparmi, nessuno sapeva dove. Era una casa dei primi dell'800, enorme, il luogo ideale per segretare qualsiasi cosa. Un tesoro o un ladro. O entrambi.
- Sembra peggiorare, dottore. -
- Capisco. -
- Crede che riuscirà a guarirla? -
Il medico alzò le spalle.
- Non sono Dio. -
- Pensa che, nel caso, le rotelle le torneranno a posto? -
- Come già detto, non sono Dio. -
L'aria, rarefatta, si condensava sui vetri e il sole, lama sbiadita, rendeva lo scenario solenne.
- I soldi, i soldi, i soldi. - 
Sapeva dire solo quello Madama Amanda.
- Mi dica cara, dove sono? - 
La signora Paplova lo aveva domandato con tenerezza, nel disperato tentativo di salvare almeno la sua esistenza.
- Al sicuro...i soldi... -
"Maledetta", avrebbe voluto strozzarla, tirchia e dispotica anche nella morte!
- Dovrò operare manualmente. -
Al dottore non interessavano gli screzi delle due donne, lui doveva agire e risolvere la questione.
- Come? - 
- Manualmente, nel retto. -
Il guanto dell'esperto era già oliato.
Il candido gridolino di Darina, non lo fermò. Né quello della paziente.
“Inguardabile, una violazione, una profanazione, quasi un sacrilegio. Al fine siamo animali e non angeli", sentenziò tra sé e sé la Signora Paplova.
- Ho il sospetto - imperturbabile - che sua suocera abbia una grave patologia psichiatrica. -
"Lo aveva dedotto dalle feci? forse i medici, dopotutto, sono veramente simili a Dio".
- Vede -, mostrando qualche monetina - sua suocera si crede un salvadanaio! -
Darina non si scompose. Ormai.
- Ma mi dica dottore...mi dica...è possibile fare un prelievo? -


Liberamente ispirato alla storia della mia bisnonna che sul finir della vita era convinta di esser un salvadanaio. Santa donna.

di Manuela Paric'



venerdì 26 luglio 2013

Blog Tour: Noemi Gastaldi


Un'intervista ironica e seria, a volte: è qui con noi ... l'illustre... l'unica ... la stramba ... la scrittrice ... Noemi Gastaldi. Mettiti comoda e preparati a lunghi momenti insopportabili! 



1. Benvenuta, un tea? sono giusto le cinque! Avevo pensato di chiederti chi sei, cosa fai e bla bla bla...ma poi, conoscendo quanto tu sia dotata di fantasia credo che potrebbe essere più divertente presentarsi giocando...quindi...rispondi e motiva i tuoi "perché". 
Se fossi un super eroe? Sarei Batman! Tra l'altro, nessuno ci ha mai visti nella stessa stanza... 
Se fossi un frutto? Una fragolina di bosco. 
Se fossi un colore? mmmhh... Nero? 
Se fossi un personaggio storico? Nefertari! (Mi dissero che le somiglio... O che somiglio alla sua mummia, ora non ricordo)
In chi ti reincarneresti? In uno scrittore ricco e famoso (magari anche bravo, va :) )
Se fossi un cattivo? Il diabolico barbiere di Londra ( si, lo ammetto, stasera ho una crisi d'identità sessuale :) )
Se fossi un animale? Un bradipo sonnacchioso
Se fossi solo te...come saresti? Questa è la domanda più facile... Sarei io U.U
Venendo a noi... Se ti dicessi i miei “perché” il gioco diverrebbe banale: così invece i lettori del blog possono sbizzarrirsi a decriptare le mie risposte :)

Furbina...troppo furbina...

lunedì 22 luglio 2013

C'è il mio silenzio.



Il silenzio comunica sempre. E' chiaro, risaputo e intuibile. 
C'è il silenzio della madre, spesso rigoroso di fronte alla figlia e rassegnato accanto al marito.
C'è il silenzio premonitore, quello che si respira in campagna prima di una catastrofe, prima del boato della terra che trema o delle onde che ti portano via.
C'è il silenzio quieto, dove i rumori sono tutti nella testa di chi sa ascoltare, è un silenzio simile ai sogni.
C'è il silenzio dell'attesa, lì nemmeno il tempo fa rumore. E non lo fa, che sia buona o atroce la sorpresa "fracassona" che si porta appresso.
C'è il silenzio omertoso, costruito sul falso rispetto e annegato nell'ignoranza, senza pietà.
C'è il silenzio imposto con la paura e le botte.
C'è il mio silenzio editoriale che è quasi un suono, una nota carica di aspettative, la prima di un concerto.
Il nuovo libro del signor Mocha è quasi terminato.
Shhhhhhhhh


di Manuela Paric'

mercoledì 17 luglio 2013

Fiabe minuscole: La cavalletta e la luna.

La cavalletta e la luna

V'è una cavalletta sul prato 
che lesta s'affretta a raggiungere il lago 
per saltar sulla luna.
Ed un balzo e un altro ed ancora e ancora,
finisce la notte
e la luna scompare 
e lungo la riva, 
la cavalletta 
a sognar di saltare. 
"Sarò più lesta domani", 
ripete a se stessa,
"non ho mai saltato invano", 
e nel riflesso si vide volare lontano.

Gennaio 2007

di Manuela Paric'

lunedì 15 luglio 2013

Un momento fa.

- Un momento fa era qua. Ne sono sicuro.-

Spostava cose, guardava sotto al divano, in continuazione. Alzava i cuscini e li rimetteva a posto. Aveva un che di trafelato che non era decisamente da lui, e qualcosa, evidentemente, non funzionava. Sembrava fuori di se. A tratti si calmava, poi riprendeva la solita frenesia, fino al successivo momento di pace.

- Ti starai sicuramente confondendo. Lascia passare qualche giorno...quando cercherai qualcos'altro salterà fuori.-

Phil era piuttosto certo che il suo amico stesse esagerando. Nulla avrebbe potuto giustificare una simile fregola, a meno che non si fosse trattato di qualcosa di veramente importante. Ma l'altro, lo sapeva bene, di cose importanti nella sua vita non ne aveva. Nemmeno una.

- Non dire sciocchezze!-, disse con fare sicuro,- Mi serve. Ora.-

L'amico lo guardò ridacchiando. Pensò che era quasi tenero, nel suo ricercare a tutti i costi l'importanza in ciò che sicuramente era solo una futile dimenticanza.

- Temo che non ti resti altro da fare che ricomprarlo, allora.-

L'altro quasi schizzò. Phil si ritrasse: per un momento pensò che volesse saltargli alla gola.

- Ma come diamine è possibile?! Te lo giuro, ce l'avevo in mano un istante prima che tu arrivassi!-
-Eh, ce l'avevi in mano e ora ce l'hai in cu- -Niente volgarità, per favore! Ho detto che era qua e qua deve risaltare fuori!-

Phil si arrese. Si accomodò sul divano e lasciò che l'altro perlustrasse al di sotto di esso per l'ennesima volta. Cos'era, la quarta? Sperò almeno che dopo ne sarebbe stato soddisfatto. 

- Senti, Jodi, sono due ore che stai rovistando ovunque. Dico, OVUNQUE! Giurerei di averti visto frugare anche in frigo quando sono uscito dal bagno. Cos'è, pensavi di averlo lasciato sotto due foglie di lattuga...qualunque cosa tu stia cercando?-
- No, lì avevo fame. Mi sono fatto un panino.-
- Un panino? Ma non ti ho visto mangiarlo.-
- Te l'ho detto, avevo fame. L'ho trangugiato.-
- L'hai trangugiato nel tempo che mi è servito per arrivare dal bagno alla cucina?-
- Ah-ah.-, annuì l'altro.
- Ma se avevi ancora la testa nel frigo quando sono arrivato in cucina io.-
- Embè? Guardavo se ci fosse qualcos'altro. Il panino non mi era bastato.-
- Non esser ridicolo.-
- Che c'è di ridicolo? Avevo fame.-
- Ma se avevi appena finito di mangiare. Eravamo assieme in mensa, ricordi? E già lì ti sei fatto fuori metà della scorta di cibo mondiale. -
- Eh, vedi? Non avevo finito il lavoro.-
- Che lavoro?-
- C'era ancora l'altra metà.-
-Ma come diamine fai a mangiare così tanto?-
- Sarà il nervoso.-

Mentre lo diceva aveva sollevato la suola delle scarpe. Cercò accuratamente anche lì, non nascondendo un velo di delusione dopo essersi accorto che non c'era nulla.

- Il nervoso per che cosa?-
- Eh, sai, la famiglia...-
-Tu non hai una famiglia.-
- Eh, appunto, sono preoccupato. Sarà ora che me ne faccia una, che dici?-
- See, al tegamino. Ma si può sapere che stai cercando?-
- Ma te l'ho detto prima.-
- Cosa mi hai detto?-
- Che l'avevo persa.-
- Cosa?-
- La pazienza. Andiamo, va'.-

Jodi uscì, facendo cenno di seguirlo all'amico, che lo guardava impietrito. Si tirò dietro la porta, ed esclamò:

- Ah, eccola!-
- Cosa?-

Jodi lo guardò con una faccia seria. Preoccupata.

- Oh, ma te non sei mica normale, eh! E' tutto il giorno che la stiamo cercando.-
- Che cosa?-
- Sveglia, Phil! La chiave! Se non chiudo la porta come facciamo ad andare al cinema?-

Ma a Phil del cinema non gliene fregava mica più nulla. Lui il suo film della giornata l'aveva già visto. Ora stava pensando a stampargli i titoli di coda sul culo.

di Fabio Postini

giovedì 4 luglio 2013

Altri racconti di altri: Il vicino sul treno #10 di Paolo Marcotti

#10
Alice è bionda, ha un vestito corto di quelli che si mettono solo d’estate, e delle forme che lo popolano, ma non troppo. Non forme da lussuria selvaggia, da temperatura rovente, da ansia di prestazione. Forme pacifiche. Forme da non possedere, forme regalo, forme patrimonio dell’umanità. Ti augureresti che quel vestito non ci fosse per metterti lì, in contemplazione, con quell’anima con cui si gode un tramonto al calare di una giornata memorabile. 
Alice ha anche due occhi verdi che rivolge a un punto imprecisato del paesaggio là, fuori dal finestrino, quasi davvero guardasse i gatti che guardano nel sole. Poi, d’un tratto, decide che il mondo non merita più la perfezione del quadro, e principia a mordersi nervosamente le unghie.
Alice ha una catenina che termina in un ciondolo. Non proprio un ciondolo. Uno di quei ciondoli tondi, fatti come uno specchietto, che si possono aprire e in una delle due parti puoi mettere una piccola fotografia. Prende, apre, dà un’occhiata, chiude. Guarda fuori. I gatti muoiono nel sole. Apre, consulta di nuovo l’oracolo, chiude. Guarda fuori. I gatti girano nel sole. Alice, col dito indice, percorre lentamente e con precisione il bordo del tondo dorato. Guarda fuori e cerca mollemente un’ispirazione.
Apre. 
Quel ciondolo non è quel che appare, questo pensiero si fa strada nella mia mente, e mi pervade anche il resto del corpo. Ci deve essere qualcosa di più, e adesso voglio scoprirlo, adesso voglio saperlo.
Chiude.
Alice ha trovato da qualche parte l’ispirazione, glielo si legge negli occhi. Lo sguardo è sempre rivolto verso un punto indistinto, ma non è più perso. 
Apre.
No, è qualcos’altro, per forza, non so cosa, ma so che sta per rivelarsi. E sarà una sorpresa. Magnifica, agghiacciante, imbarazzante, chissà. 
Chiude.
Si passa furtivamente la lingua sulle labbra. Il treno ha un brivido. Gli occupanti del treno hanno un brivido. I gatti nel sole hanno un brivido.
Apre.
Non può essere, eppure è così. Quel ciondolo non è un ciondolo. È l’organo genitale. Alice ce l’ha appesa al collo. La fica al collo.
Chiude.
Quasi impercettibilmente, l’accelerazione del battito si fa largo nel rumore del treno. Accompagnata da un leggero ansimo.
Apre.
Lo stupore prevale sull’eccitazione. Stupore non da baraccone. Stupore da prodigio.
Chiude.
Alice si sta lasciando andare. Entra in un’altra dimensione, senza treno.
Apre.
Sì, sta accadendo lì, davanti a me, davanti a tutti.
Chiude.
E tutto questo Alice non lo sa, o forse stavolta sì.
Apre e chiude.
L’accelerazione adesso è decisa.
Apre e chiude.
L’ansimo è distinto.
Apre e chiude, apre e chiude.
Percezione di caldo.
Apre e chiude, apre e chiude, apre e chiude.
Moti incontrollati.
Apre e chiude apre e chiude apre e chiude.
Gola strozzata.
Apre chiude apre chiude apre chiude apre chiude.
Salivazione.
Apre e chiude e apre e chiude e apre e chiude e apre e chiude.
Sudore.
Apre e chiude e apre e chiude, apre e chiude, apre chiude, aprechiude aprechiude aprechiude aprechiude aprchiude aprchiude aprchiude aprchiud, apre e chiude e apre e chiude, apre e chiude, aprchiude aprchiude aprchiude aprchiud aprchiud aprchiudaprchiudaprchiudeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee… eeeeee… eeee… ee… e.

Io sono morto - Vera Q.

Oggi voglio presentarvi il nuovo libro di Vera Q.. E' un'opera alla quale sono particolarmente affezionata, me la sento un pochino mia: l'ho vista nascere capitolo dopo capitolo e ho esultato insieme all'autrice quando ha messo l'ultimo punto.

Vi lascio perciò con la mia prefazione "nonsense" e l'incipit di IO SONO MORTO.

Buona lettura.

Prefazione:

Si muore.

Si muore sempre, inesorabilmente e spesso malamente.
Non è un gran mistero. O meglio, lo è ma non del genere che si può svelare. O meglio, può farlo Vera Q. 
Immaginate un teatrino di provincia.

Immaginate una musica triste e un vecchio addormentato in platea. 
Immaginate che sul palco vi sia un salottino pieno di arazzi e polvere e lì, proprio lì, sotto arrugginiti riflettori incandescenti, la vostra bara.
Voi dentro, incravattati, impomatati, pallidi.
Non è bello, lo so, ma... provate, provate a immaginarvi.
State comodi? Non troppo, già.
La morte, a quanto pare, è una questione scomoda e per l'uomo, per come è fatto, per ciò che brama, non c'è morte che tenga: non si fa in tempo a piangere il proprio defunto che lo si rintraccia - ognuno al suo posto - sgambettante tra le nuvole o arso nell'eterno fuoco della perdizione!
Che gioia.
Vivo, ancora.
Ustionato forse, rimbambito a volte, ma vivo.
Quasi.
I più caustici diventano concime, si fanno mangiare dai cavalli e danno al corpo l’ultimo giusto peso.
Altri si perdon tra le stelle.
Fumosi.
Belle le stelle, la notte di San Lorenzo, quando ogni desiderio sembra realizzabile e quel cielo nero smette di far spavento. 
Invece... si muore.
Si muore sempre.
Rigidi, putrefatti o polverizzati: se tutto procede secondo i piani!
Non sempre, infatti, le cose accadono come le sogniamo. Ci si potrebbe ritrovare smembrati in una doccia, spugnosi nel profondo del mare o, peggio ancora, imbalsamati in un museo alla mercé di turisti curiosi.
Che scempio!
Il destino che Vera Q. ha riservato ai suoi protagonisti è peggiore.
Se, come diceva il filosofo, la verità è una costruzione mentale, allora il dolore, l'oblio e ogni genere di aberrazione sono il prodotto delle nostre paure: l'arte del contrappasso.
Benvenuti.

di Manuela Paric'


Estratto (incipit)

1. Risveglio

C’è una finestra, una soltanto.
Piccola, rettangolare e posizionata a bordo del soffitto.
Il chiarore in questa stanza non è il benvenuto ed è per questo che è stato confinato, con convinzione, dietro una spessa vetrata opaca.
Le squallide pareti della camera, così come il pavimento in marmo, rifrangono le gelide luci affettate dei neon: un luccichio impersonale, imperturbabile, al quale nessuno s’affeziona.
Alcune sedie, disseminate senza criterio, s’alternano a vasi di acciaio che rigurgitano fiori, e sul lato sinistro del locale, inamovibile, una panca di formica sorregge quattro persone.
Mia moglie Barbara e mia figlia Giada ne occupano lo spazio centrale; Luca, mio fratello, e mia madre Carla sono invece schierati agli antipodi.
La mia dolce metà mi fissa con gli occhi sgranati: imbambolata, attonita e, sopra ogni cosa, incredula. La mia piccina è saldamente avvinghiata alla nonna che le carezza il capo con fare amorevole. Ed infine Luca, accanto a Barbara, punta con testardaggine l’uscio spalancato sul corridoio.
Io, al contrario, sono l’anima della festa e domino il miserevole ambiente torreggiando al centro del vano.
E no, quando mi riferisco all’anima, non mi esprimo per metafore.
Io sono quello ubicato nella branda di legno.
Io sono quello giacente.
Insomma, per farla breve, io sono quello morto.

Di Vera Q.

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