martedì 27 gennaio 2015

La Croce. Di tutti. Di Vera Q.

La nuova opera di Vera Q è venuta alla luce, urlando. Io ho gridato di gioia e scritto la prefazione.


Benvenuta "LA CROCE". 


Di seguito introduzione, sinossi ed estratto dal primo capitolo.


Buona lettura.






Introduzione

di Manuela Paric'

Vera Q. racconta del barbone della porta accanto, del vicino allo sportello del bancomat e del parente che ci siamo dimenticati di andare a trovare dal 1902.
Parla di gente e di popoli.
Ricostruisce leggende gotiche liberando i protagonisti dall'infallibilità dei poteri sovrannaturali.
Storpia le parole e cuce nuovi significati.
Metafore, armi sibilline e sibilanti nelle mani di una donna disillusa.
Il disincanto e la vana, ma inevitabile, ricerca della redenzione sono i temi portanti del libro.
La via della salvezza, la strada verso la felicità e anche la fortuna vengono presentate come il motore immoto che guida l'individuo attraverso la tragedia.
L'autrice non risparmia nessuno, ogni specie condivide la medesima nefasta sorte. Le cose accadono, nascono, maturano e nascondono sempre crude sorprese.
Per Vera Q., l'esistenza è un batterio annidato tra i manicaretti più golosi, come la salmonella. I semplici desideri umani, i grandi obiettivi e i buoni o i cattivi propositi perdono d'autentica direzione, tramutati in inutili momenti di passaggio. Così come è per le consuetudini, le gerarchie sociali e il senso ultimo di noi stessi.
Tutti sogniamo una vita piena di avventura e amore e ricca di soddisfazioni e soldi. Sogniamo, certo, quando riusciamo a dormire. La maggior parte delle volte riposiamo le ossa, ossessionati dal Domani; vessati dai debiti, incancreniti dalle malattie, storditi dal nostro essere uomini e sedotti da sentimenti indomabili. Senza darci per vinti o fingendo di non farlo, perché solo quello abbiamo... solo quello. L'esistere, anche se privo di scopo, è il nostro destino. Una corsa verso l'oblio, una lucina lontana a fare da speranza: questo è la Croce. Di tutti. Per Vera Q.

Sinossi

Quando si segna l'ubicazione di un tesoro su una mappa si annota una X.
Ma se è il Destino ad assegnarla, il Cammino diventa l'Incognita.
Miruna è madre, consacrata alla prole.
Amelia è madre, consacrata alla prole.
E in qualche modo, entrambe sono dipendenti da una sostanza.
Una dal sangue, l'altra dall'eroina.
La prima, a capo di un clan di Notturne, vampire, predatrici della razza umana.
La seconda, dedita alla fuga dal suo mondo lisergico.

La croce racconta il tortuoso percorso di due creature ai margini e della loro caccia al bene più prezioso: la Vita.
Uno scritto morboso, violento. La ricerca di una virgola da mettere sulla propria esistenza, laddove, invece, c'è un definitivo ed inestirpabile punto.

La Croce

1. Notturnia

Prendi la tua Arroganza e intrecciala.
Fanne un robusto cappio.
Forte, vigoroso, tale da reggere la Presunzione che ti contraddistingue.
E impiccati nel Giardino dei Sentimenti, all'albero della Comprensione, arbusto che in te non è mai riuscito a mettere radici.
«Aglio?»
«Funziona» rispose Strigoia. La voce era tagliente. Un fastidioso ronzio affilatissimo.
La femmina asciutta dominava, imperturbabile, la spianata.
E la cocente brezza estiva imprigionava l'esile figura in un caldo amplesso stagnante. Quanto unilaterale.
Dragaica, frattanto, la fissava. E pendeva dalle sue labbra. E si beava di ogni indecifrabile pausa.
Adesso il crepuscolo lambiva i filari. Ripudiava gli ultimi sprazzi di luce, sconfessandoli. Le sagome grigie della pioppaia s’imponevano aspre, e l'odore della notte saliva maestoso dall'umida terra.
Così, Dragaica fece un balzo all'indietro. Una capriola lesta.
E corse al primo albero, arrampicandosi frenetica. Agile, una fanciulla acerba, primaverile.
Arti in movimento, tutto un fremito, per domare il tronco con un abbraccio sgraziato, potente e scomposto. Una sfida muscolare. Nervosa.
«Crocifisso?» domandò di getto alla sorella, con veemenza. Era piena d’anima, e l'intero cosmo era per lei da mungere.
«Ma per favore...»
«Paletto nel cuore? Acqua Santa?»
«Sì al primo, no alla seconda. E niente scampagnate diurne, l'abbronzatura è per la plebe» concluse Strigoia, stringata, stracarica di quel terzo grado petulante. E si voltò verso gli argini del canalone artificiale, vittima soprattutto della calura.
E dunque, si guardò attorno studiando una quercia. Sognante. Cupida di solitudine.
La piccola, la pupetta, era incontenibile. E la pazienza di Strigoia inesistente.
Si arrogò, pertanto, una piccola pausa dall'interrogatorio.
Difatti, aprì le ali e cercò il cielo.
«Se mi lasci sola lo dirò a nostra Madre» miagolò maligna Dragaica. E ondeggiava. Era in cima, in alto, altissimo. Sulla sommità del flessuoso pioppo. Sconfitto, suo.
Strigoia chiuse gli occhi, chiuse le ali e chiuse le braccia al petto.
«Che cosa diavolo vuoi adesso?» ruggì graffiante. Il visetto appuntito.
«Dimmi di loro.» Dragaica si lanciò nel vuoto, lieve, una piuma. Una corrente ascensionale incrociò quel suo planare, cullandola.
Il fossato rigurgitava energia briosa: la frenetica attività degli insetti colmava il silenzio del tramonto, e le rane, a pelo d'acqua, attendevano la preda immerse in uno specchio palustre, un succo verdognolo screziato da oblunghi aloni marroni. E quella tovaglia macchiata di sugo ribolliva.
Oltre, la sterile periferia della città di mare; oltre, la baia; oltre, l'infinito.
«Parlami degli uomini, un'altra volta» insisteva la piccola. Una raffica d'innocenza morbosa.
E Strigoia sorrise, arrendevole.
Respirava la Terra, figlia dei suoi anfratti bui.
Era un parto della Notte. Un'abitante della tenebra. E non desiderava essere altro.
Sicché salutò l'imbrunire, avvolta dall'oscurità. Come di consueto. Come le diceva il suo istinto.
«Caldi, sudati...» replicò vellutata, e l'acquolina l'assalì. Ardente, incontrollabile, matta.
E voleva bere, e voleva dissetarsi, e voleva riempirsi, e zavorrarsi fino a saturazione. E poi dilaniare, e poi strappare, e poi mordere. Ed affondare, tutta, nel rosso. [continua nell'ebook]

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mercoledì 7 gennaio 2015

Parole bambine, vecchi orrori.

7 gennaio 2015

Mia figlia ha sei anni e un'idea semplice e definitiva del bene e del male. Mi osserva e capisce che è una giornata diversa dal solito. Vuole sapere. Chiede e io rispondo. Uso metafore a lei comprensibili e le parole "libertà-religione-scherzo-morte" compongono una fiaba nera, ma ricca di significati e speranza. E' dispiaciuta. Molto. Ci pensa su. E ci ripensa. Quindi trova la sua risposta.
"Mamma io non credo in Dio, Erika sì e Amina ne ha uno diverso. A me non importa. Litighiamo ma poi cambiamo gioco. Credi che questi grandi...dopo oggi...da domani, saranno tutti buoni buonini?"
Le sorrido. Il micio di casa ciondola fino alla poltrona e poi si accascia esausto su un fianco.
"Mi piace ridere mamma, guarda il nostro gatto grasso." Lo indica. "Adesso scoreggia!"
La amo. 
Il futuro non è perduto, mai.