Quest’anno, complice la mancanza di denaro e il
bisogno di assoluto riposo, abbiamo deciso di concederci quindici giorni di
vacanza in Croazia, nostro primo amore. Niente di avventuroso, niente di
culturale, niente di niente verrebbe da dire. Solo mare, caldo assassino,
odore di scogli bagnati e gente abbronzata che vende pesce fresco e albicocche
più che mature. “Niente di niente”, verrebbe proprio da dire così, due
settimane fatte di giornate molli come elastici usati e di giorni spesi a
rimanere immobili, avvolti in respiri profondi e sedotti da quell’idea di ozio
e di sospensione di coscienza che permette di riallinearsi con se stessi e di
vivere più a lungo. “Niente di niente” appunto, verrebbe da dire senza alcun
dubbio, verrebbe, se non fosse per un dettaglio trascurabile ai più, ma
fondamentale per noi: partiamo in camper. Ancora una volta andiamo in camper in
Croazia: io, mia figlia e l’esperto camperista, colui che due anni orsono ci
aveva condotto generoso e claudicante attraverso una delle più disastrose e
bizzarre vacanze mai sperimentate. Da allora dice di essere diventato molto più
esperto, anzi un vero esperto. Tutta questa esperienza (noto subito) si
riflette anche nella quantità di cose che ha deciso di portarsi dietro e con
cui ha stipato tutto il mezzo. Io mi domando: questa volta quante batterie da
auto avrà comprato? Due anni fa eravamo arrivati a 6, 7 con quella acquistata a
un autogrill sulla scia del “perché non si sa mai”. Ora? Avremo abbastanza
energia per dirigere il bestione sulla luna?
Come dicevo, questa volta partiamo preparati. Innanzitutto
abbiamo il Tank (confidenzialmente chiamato il trolley della merda) e non
saremo più costretti a bizzarre manovre clandestine per svuotare serbatoi
maleodoranti. È un grande passo avanti, forse l’unico rilevante. Certo, sono
percorsa da un brivido freddo al solo pensiero del primo necessario utilizzo,
compiuto in scioltezza tra le piazzole e la brava gente. Ci sono molte cose che
mi procurano incertezza quest’anno, l’esperto camperista infatti si è munito di
canoa, un kajak giallo canarino nuovo di fiamma. Lo ha modificato con un motore
elettrico e con parabordi norvegesi attaccati a bacchi di bamboo. È una imbarcazione di fortuna, tenuta insieme
da cordini e speranza. Temo che l’esperto camperista si disperderà in mare e sarà
salvato dai delfini o, se fortunato, troverà approdo nella terra delle lumache
e lì aspetterà sereno l’inverno. All’esperto camperista piacciono le lumache,
va detto.
Oggi abbiamo preparato il camper: borse,
borsoni, pinne, maschere, forconi, dieci canne da pesca, ami, amini, ametti, un’isola
galleggiante grande come il mio salotto, barbecue a campana, biciclette, esche
per calamari, pallone, ventilatore, tavolo, sdraio, seggiolini, materassino,
lacci, corde e tiranti, ammennicoli e fantasmi... Sono già stanca. Domani
mattina, con 18 ore di ritardo sulla tabella di marcia, partiamo.
Venerdì. La giornata è calda, il cielo sgombro
e i negozi sono aperti. Abbiamo ritardato la partenza di qualche altra ora… si
sa, le spese dell’ultimo minuto. Sandaletti, altri ami, altri cordini, altro.
L’esperto camperista è agitato. Farfuglia cose sconnesse, si alza, si siede,
guarda fuori dalla finestra e annuisce soddisfatto. Inforca il vecchio
monopattino dei Barbapapà di quando mia figlia aveva 3 anni e inizia a
circumnavigare l’isola cucina. Il piede taglia 43 esce dal mezzo e sbatte sul
pavimento. L’esperto gira veloce e altrettanto rapidamente ripete a bassa voce
la lista delle cose fatte e da fare Pane francese, bigattini, pompa…
padella, ahhh la padella… tonno…ma no il tonno lo prendiamo là…
Siamo pronti, saliamo sul camper, ci esplode
un’anguria. Bestemmiamo e ritardiamo la partenza di un’altra ora: l’anguria e i
suoi semini sono ovunque, sarà un funesto presagio?
L’esperto camperista mi ha assicurato che nulla
sfuggirà al suo controllo. Tocco ferro, queste affermazioni così perentorie
attirano la sfiga più dell’imminente arrivo della pensione. Ho tutto
sotto controllo, così ha detto allargando lentamente il braccio e
invitandomi a osservare con maggiore cura il lavoro da lui svolto: cordini
ovunque, bisce bianche e nere che avvolgono cose e stritolano e stringono e
mettono in sicurezza. Metri di cordini che trasformano il camper in una
futuristica tana di ragno. Ne ha altre centinaia di metri nel bagagliaio, per
le evenienze. Io ho lo sguardo della vedova nera.
Il motore del vecchio Ford s’agita e romba,
sembra parlare ai miei reni di donna afflitta da “quel periodo lì”. Chiudo gli
occhi, respiro una boccata di aria calda e sorrido, finalmente siamo usciti dal
cancello e abbiamo percorso i nostri primi duecento metri verso le meritate
vacanze; ce ne aspettano altri sessantamila.
Alla prima rotonda,
affrontata con coraggio e maestria, il frigorifero si apre vomitando tutto il
contenuto nel corridoietto; ai semi di anguria incollati al parquet si
aggiungono bucce di cipolla e acini d’uva. Sono tentata di schiacciarne uno,
tanto per pareggiare. L’esperto camperista accosta, siamo a un chilometro da
casa mia, scende dal mezzo, si sgranchisce le gambe e solerte mi aiuta a
sistemare il frigorifero, in mano ha un cordino. L’ennesimo.
Ripartiamo. Sono le 14.30, la giornata continua
a essere splendida e infuocata. Imbocchiamo la medesima insidiosa rotonda e la
porta del camper si spalanca, esplode come una fucilata e sbarbatta e sembra
lasciare entrare tutta Piacenza. Dietro di noi un ciclista bestemmia in
dialetto. Sbianco, penso al pericolo scampato e chiudo l’uscio. Sarà un lungo
viaggio.
Sono le 21.00. Il mondo vibra, i miei neuroni sono
annientati uno a uno e io spero che questa esperienza aiuti anche la mia
cellulite. Ora siamo sulle montagne slovene, fuori ci sono solo buio e boschi e
finalmente c’è fresco.
«Vieni a vedere che bello! Un daino selvatico, laggiù» urla a mia figlia l’esperto camperista. Ha la voce strozzata dall’euforia. Accelera, non vuole farci perdere la magia di quell’incontro fortuito. Teniamo tutti gli occhi sbarrati, la strada sotto di noi scorre furiosa, in meno di un battito il daino si rivela: maestoso, gigante e di cartone. Indica che a 100 metri c’è un buon ristorante. In effetti ho fame.
«Vieni a vedere che bello! Un daino selvatico, laggiù» urla a mia figlia l’esperto camperista. Ha la voce strozzata dall’euforia. Accelera, non vuole farci perdere la magia di quell’incontro fortuito. Teniamo tutti gli occhi sbarrati, la strada sotto di noi scorre furiosa, in meno di un battito il daino si rivela: maestoso, gigante e di cartone. Indica che a 100 metri c’è un buon ristorante. In effetti ho fame.
Decidiamo di mangiare in camper ma, nonostante
la lista, la premura, il piano d’azione e i settecento chili di bagaglio… non
abbiamo il coltello. Mordo un salamino e buonanotte.
ahahahah chi ben comincia..... XD
RispondiEliminal'anno prossimo vi regalo dei lucchetti
(visto che avete dei seri problemi a tener chiuse le porte)
La vacanza in camper ci trasforma... in peggio :D
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