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sabato 20 luglio 2024

#incipitbottega - micro racconto presentato


Il sesto dito della sua mano sinistra iniziò a spuntare alle 16.47. Almeno erano stati di parola. Gli avevano tagliato il piede, ci aveva guadagnato un mignolo, era così che doveva andare. Era già stato fortunato: gli fosse capitata la testa non sarebbe stato lì a rimuginare sull'arto perduto e quello acquisito. Avere un dolore fantasma è sempre meglio che diventare un fantasma. La stanza era piena di luci, due file di neon bianchissimi correvano al centro del soffitto. C'erano 10 letti, ma solo 8 erano occupati, ovviamente. Quando ti segano dall’ombelico in su non c’è escrescenza che compensi! A lui era toccato il piede, non gli era andata male, ripeteva grattandosi le tempie con il ditino e staccando con la piccola unghia scaglie di gel che gli erano rimaste sulla pelle dopo l’ultima "terapia-elettroconvulsiva-atta-a-trattare-i-traumi”. Così avevano detto, parole importanti. Un mormorio sommesso lo distrasse da quel pensare e raschiare: un uomo magro, nudo e con residui di vomito tra la barba lunga e nera stava pregando. Questi, non aveva più il braccio, mozzato di netto insieme alla mano, valeva doppio. Due piedi, due mani, due gambe, due braccia, un tronco e una testa. Era tutto lì un uomo. Tuttavia, pensò, un uomo era un po’ di più nella testa, perché quando perdi quella, di te non rimane più niente. Gli veniva da ridere, lì la testa l’avevano persa tutti, tutti matti, tutti spettri.

Il ragazzo del letto tre non si era ancora mosso. Forse era morto, e questa volta per davvero. Stava lungo lungo, dritto e stretto, avvolto da uno spesso lenzuolo di cotone. Senza una gamba era più simile a un utensile appuntito che a un essere senziente. “Senziente poi”, sbuffò, “un punteruolo, uno spillo, un ferro da calza”, si arruffavano i pensieri. “Meglio aver perso il piede! Come ci si siede quando manca la coscia? Le chiappe sanno cosa fare? No che non lo sanno e così o cadi…o trascorri una vita in bilico, sorretto dalla paura.”.

Contò ancora i letti: 10. L’uomo era una Unità, di questo ne era certo. E lui ora era un volgare 9 e mezzo: 1 testa, 1 busto, 2 mani, 2 braccia, 2 gambe, 1 solo piede e un’appendice dotata di falangi. Sproporzionato, ecco! Privo di equilibrio. Si sarebbe fatto crescere i baffi. Si toccò con le dita la guancia e fece scorrere i polpastrelli lungo il bordo del labbro superiore. “Sì, un bel paio di baffi folti e impomatati. I baffi sistemano sempre tutto.”

L’uomo magro lo scrutava con il terzo occhio, teneva stretta una croce con la mano destra e con la sinistra si toccava le vergogne.

“Chissà che avrà visto con quel terzo occhio!”

Mancavano 6 minuti e 35 secondi al giro di ronda.

Immolarsi per la patria… era veramente questo quello che stava facendo? O stava fuggendo, ora claudicante e incompleto, dai conti da pagare, dalle responsabilità quotidiane e da quel noioso dazio di dover trovare una direzione definita.

Mancavano 2 minuti e 12 secondi al giro di ronda.

Dottore, infermiera e uno psicologo troppo giovane per essere esperto in faccende della mente indugiavano sulla soglia.

3 secondi.

Sorrisi, clisteri, antipsicotici.

Il primo a crollare fu il “Nazareno”, si addormentò supino in meno di 5 minuti, poi fu del “Granchio” l’onore di farsi legare al letto: cinghie di cuoio come amanti. Quindi avanzarono verso il tenente senza un piede.

- Come si sente oggi? Incubi?

Il soldato non parlava, non lo faceva mai. Mesi prima, mentre cercava di mettere in salvo una bambina, lei era esplosa all'improvviso. Della piccola non era rimasto altro che un dito ed egli lo stringeva ancora forte nella sua mano sinistra, come fosse il suo.

- Ha provato a fare due passi?

Niente. Aveva le pupille dilatate di un nero senza alcun bagliore. Il soldato ci si era raggomitolato dentro, aveva curvato la sua esistenza in quel vuoto e l’aveva ricomposta con frammenti di realtà

- Addormentalo, ordinò il dottore

“Sempre le stesse domande e mai una sola risposta.” Pensò il tenente. Ma la guerra almeno è finita?”

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Ps: racconto fuori concorso perché troppo lungo 



domenica 27 ottobre 2019

Amici

Non ci vedevamo da più di 15 anni.
Ci incontriamo per caso al parcheggio del supermercato e decidiamo di andare a cena.
Scegliamo un ristorante messicano. Il locale è colorato, odora di spezie, la musica è alta e molte persone ridono.
Noi, nonostante il grande baccano, parliamo. Stiamo bene.
Improvvisamente, tra un burrito e una crema di fagioli, lui si fa serio. Beve un sorso di birra, deglutisce più volte, mi fissa. Occhi negli occhi.
- Ti voglio confessare una cosa, è ancora un segreto. Una cosa che ho scoperto recentemente e che mi ha cambiato la vita.
Temo che voglia vendermi saponi, pentolame, assicurazioni e sono pronta ad affrontare con garbo un soliloquio sulla magnificenza del sistema piramidale.
- La rivelo a te perché credo tu possa capirmi. Da quando l'ho scoperto il mio modo di gestire le relazioni, soprattutto con le donne, è cambiato. Finalmente mi sento me stesso.
"È omosessuale." Tiro un sospiro di solievo. 
- Ho scoperto di essere...
I ritmi etnici impazzano, un gruppo di amici alza i calici e brinda, il locale sembra diventato più piccolo e più chiassoso. Le stoviglie tintinnano, i camerieri corrono e qualcuno si alza per ballare.
- Ho scoperto di essere DOTATO.
Lo guardo.
Mi guarda.
Lo guardo.
Mi guarda e annuisce.
"Ha scoperto di essere dotato?"
- Come? DOTATO? - starnazzo, inghiottendo tre pezzi di carne.
- Ho scoperto di essere D-O-T-A-T-O - ripete solenne.
- Ah, buon per te. Che dire...
- Già.
- E hai scoperto di essere DOTATO a quasi 40 anni? - chiedo con sincero interesse.
- D-O-T-A-T-O
- Sì, ho capito, ma a quasi 40 anni? - sposto la bottiglia di acqua e allungo il collo.
- Ho scoperto di essere D-O-T-A-T-O - gli sfugge un sorriso piacione
- D-O-T-A-T-O, ma ora? come? 
- D-O-T-A-T-O - scandisce, spostando l'ingombrante baricentro verso di me.
"Non troppo, uomo." Penso. "Quel baricentro è pericoloso!"
Raccolgo tutte le energie, recupero fiato, stiro l'ugola e urlo... nell'esatto istante in cui la musica svanisce.
- E VA BENE! SEI SUPER DOTATO! DOTATOOOO. 
Tutto si ferma. Silenzio. Ci stanno fissando. Qualcuno è uscito velocemente dai cessi per darci una guardatina.
Lui ridacchia, si pavoneggia, e mi sussurra - ADOTTATO, ho scoperto di essere, ADOTTATO.

Probabilmente in un B.movie...morivo.

Inverno, notte.
Nel cielo nessuna stella. 
Un vento lieve muove le foglie dei platani e un unico lampione illumina la via come fosse la luna. 
Io sono a letto, stanca. Pensieri morbidi mi stanno portando verso l'oblio. I gatti dormono acciambellati sulla trapunta, il cellulare è spento e tutto è pace. 
BUMBUMBUM 
Un forte rumore interrompe la quiete. 
Ho gli occhi ancora chiusi, il cuore che trema e una intensa sensazione di disagio. "Sarà stato un incubo" penso, come quando si sogna di cadere e si inarca la schiena e ci si sente scimmie e cadaveri contemporaneamente. Decido di non fare niente e provare ad addormentarmi.
BUMBUMBUM 
Improvviso, forte, crudele, il rumore spezza l'aria, ancora. 
I gatti si svegliano e saltano scomposti, elastici e magici. Io scatto in piedi con meno fermezza, accendo la luce e corro verso il salotto. Il baccano non è ancora cessato. Temo sia entrato un animale. "Devo salvarlo". Arrivo in salotto, il rumore smette. Tutto tace. Non capisco. Cerco ovunque la presenza di un intruso, piccolo o grande. Controllo la porta di casa, tremo al pensiero che sia aperta. Impallidisco alla sola idea di dover lottare o supplicare per sopravvivere. Apro tutte le stanze, guardo sotto i tavoli, ricontrollo la porta, scuoto le spalle, faccio un mezzo sorriso e torno a letto. Appoggio la testa sul cuscino e BUMBUMBUM... ancora il rumore. 
Agisco in fretta, al buio. Striscio lungo il corridoio, mi sento nella giungla, in guerra, il pavimento è freddo, quasi umido. Ora, più forte del rumore, nelle orecchie ho i battiti del mio cuore. La bocca è asciutta, ogni senso è allertato. Sono quasi arrivata, esito dietro lo stipite. Il rumore aumenta, si fa più caotico come se qualcuno stesse rompendo della carta, sparpagliando ciottoli, grattando cuscini. Coraggio. Ci vuole coraggio. 
Avanzo. 
Mi allungo. 
Devo vedere. 
Ecco. Il rumore smette. 
Silenzio. 
Accendo la luce, tutto è normale. Ogni cosa è come l'avevo lasciata, anche la notte. Mi sento scema e malata... torno a letto correndo, quasi inseguita, osservata, in pericolo. Mi copro la testa con la coperta e aspetto. Niente. Ma io attendo, fingo di dormire per un tempo lunghissimo. Nulla. La mente inizia a svuotarsi, il corpo si fa molle, le prime immagini confuse di un sogno che sta per nascere mi trascinano via ed eccolo... BUMBUMBUM, il rumore, ancora. 
Questa volta mi rannicchio e lascio che qualsiasi cosa sia si sfoghi. Porta chiusa, gatti nel letto, mazza sul comodino.

martedì 13 agosto 2019

ITALIA BOLLENTE, CERVELLO ASSENTE.



Il mio compagno Jason è nato alle Hawaii da madre cinese e padre giapponese. Ha vissuto in quell'isola a due passi da alberi giganti, spiaggia, mare, delfini, orche, squali... per 40 anni. Poi ha avuto la sfortuna di trovare me: ha agitato la ciabatta e salutato Honolulu, messo in valigia cappotto e pezzi della sua vita ed è atterrato a Malpensa in un freddo pomeriggio di novembre. Un trauma. Ora vive a due passi da pioppi arsi, fiume Po, temutissime zanzare padane, nebbia, inverni. Con l'arrivo dell'estate pensava che le sue giornate avrebbero cambiato direzione: vestiti leggeri, natura rigogliosa, granita e passeggiate lunghe. Illuso. Alle Hawaii è sempre estate, ma un'estate diversa dalla nostra: il caldo infernale è mitigato dalla brezza e i 40 gradi non si raggiungono praticamente mai. Ho scoperto che noi italiani siamo resistenti: abbiamo la pelle forte come il cuoio, le tempie cromate, i calcagni costruiti sui cingoli. A noi l'estate umida, bollente e bastarda ci fa incazzare, molto, moltissimo, ma la gestiamo. Ce la andiamo anche a cercare. L'hawaiano no, non ce la fa. A volte lo trovo sdraiato sul pavimento, immobile, fluido e lunghissimo come un gatto. C'è da dire che quando abbandona la sicurezza dell'amico condizionatore, Piacenza gli riserva delle succulente sorprese. Regali che fatica a dimenticare.

IERI

Io e Jason camminiamo in centro città, il sole è alto, giallo e cattivo. Lui suda, ovunque. Suda talmente tanto che ha i piedi bagnati, lisci come il marmo e non riesce a trattenerli nelle infradito. Gli scivola l'alluce, gli sfugge il tallone, bestemmia in americano e poi perde il mignolo e slitta e slitta ancora. Fuck and fuck. Per questo, come l'ultima delle crocerossine, gli stringo la mano più forte del solito e lo aiuto ad arrancare. È come portare a spasso un aquilone di carne e ossa, un uomo bidimensionale in balia della tormenta. Ridacchio e penso a quanto siamo buffi. Due amanti teneri e sciocchi: io che lo trattengo, lui che non fugge via.  Tutto romantico, certo, come no. La fregatura è dietro l'angolo, o meglio, a portata di panchina. Dopo tutto quello sdrucciolare e quel tira e molla, appoggiare le terga all'ombra ci dovrebbe restituire un minimo di dignità. Dopo circa 37 secondi di meritato riposo, un uomo pingue, arrotolato in una tenuta sportiva lucida e nera si siede accanto a noi. Schiocca la lingua, si asciuga la fronte con un polsino in spugna, giallissimo, uno di quelli che andavano di moda negli anni '80 e si allarga soddisfatto l'elastico dei pantaloni. Ha anche un berretto calato fino a metà fronte, un anello nero e i denti nuovi. Mi viene da chiamarlo Caronte.

- Io non mi permetto eh, ma mi perdoni eh, dovevate fare il contrario, sa? - dice.
- Come scusi? - rispondo, distratta.
- Il contrario. Dovevate fare il contrario! - insiste.
- Ahhh - fingo di capire e mi sposto un pochino. Quel tanto che basta da farlo notare.
Forse puzzo, è un misogino, le donne prosperose lo confondono. Mi controllo l'alito e l'ascella senza farmi notare. Nulla. Con una mossa rapida faccio un check anche delle mutande che, come mi ha insegnato nonna, non si sa mai. Perfette.
- è che sa, certo sa, lei sa, sono gli uomini che vanno con le cinesi. Che fanno quelle robe lì, quelle famiglie arcobaleno, colorate, miste. Non le nostre donne. È un peccato, sa? - Porta l'occhio sul seno, bramoso, - certo che sa, lei sa, così come siete... proprio non vi si può guardare.-
Mi fissa compiaciuto e ride e sorride e schiocca la lingua, di nuovo, come se fossimo compagni di merenda.
- Come scusi? - domando ancora una volta, incredula. 
Jason non comprende l'italiano, mi appoggia una mano sulla coscia e fa un gesto di assenso all'omuncolo maledetto. Un saluto cordiale, una tempistica sciagurata. Caronte sbava.
- Va bene quando nella coppia è la donna quella gialla, ma così, che bisogno c'è, non andiamo bene noi italiani? Fa un po' strano, sa? - si toglie il cappellino, non più di 40 capelli attraversano un cranio perfettamente sferico.
- Ma non mi permetto eh, io no! - continua - Io non sono come quelli che vi odiano a voi stranieri, io dalle cinesine ci vado, contribuisco, sono brave ragazze, sa? E a quelli davanti al supermercato qualche centesimo glielo lascio pure. Ma gli zingari no. Sia chiaro. A lavorare devono andare, mica a rubare a noi gente per bene!- 
Sputazza una rapida sequenza di altri luoghi comuni e slogan mortiferi, quindi si accarezza il testone per lucidare quattro peli fuori posto. 
Vanesio, ignorante, stronzo, e altri epiteti facili da affibbiare scorrono nella mia mente senza una direzione precisa e utile. Troppo semplice. Affilo dunque le armi della mia indignazione, cerco parole taglienti ma istruttive per controbattere a tanta dabbenaggine, assumo una postura dignitosissima e apro bocca.
- Mi ascolti bene... - non faccio in tempo a finire che un piccione obeso, una cicogna, mi batte sul tempo e gli getta una cagata da 200 grammi dritta dritta al centro della fronte. Ahhhh la Provvidenza! In un attimo un fluido colloso e bianchiccio gli cola sul naso e punta dritto dritto verso la bocca. Merda alla merda. L'essere si agita, mugugna, gesticolando mi chiede se ho un fazzolettino. 
Lo ho. 
Glielo mostro.
Riesco a dire - non per lei, sa? - mi inchino, offro il braccetto all'hawaiano e scivolo via.

Ho fatto come il piccione. Un po' me ne rammarico, un po' no. 

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Sì, è una storia vera. Purtroppo.

martedì 8 marzo 2016

DICONO NO

Questa mattina mi sono alzata tardi, ho i capelli incollati alla fronte, gli occhi acquosi e i riflessi lenti. Davanti al supermercato uno sconosciuto mi offre un minuscolo mazzetto di mimose. Sorrido, ringrazio e declino l'offerta. Si avvicina mi incastra i fiori tra le mani, mi bacia sulla bocca e mi palpa il culo. Poi corre via. Deve bruciare.


DICONO NO
Belle, Bellissime, brutte e grasse, vecchie, troppo giovani, con i tatuaggi, i capelli biondi, gli occhi scuri, le cosce grosse, i baffi, i tacchi alti, il naso lungo e l’alluce valgo, la gonna corta, il camice da lavoro, il grembiule e il reggicalze, gli occhiali, un armadio con mille scarpe, una libreria con un trilione di libri, le tette finte, la vagina a lingotto, il tallone screpolato, le ascelle pelose e un sesso diverso, truccate, stanche, madri, nipoti e nonne, puttane, suore e sorelle, vergini o libertine, di giorno, di notte, sotto il sole dell'Africa o tra i cieli grigi del nord, al supermercato, nel letto, davanti ai figli, a casa, a scuola, per strada, nel giardino del cimitero, in piscina e altrove, mute, ubriache, ridanciane, cattive, sciocche, ignoranti, poetesse o ingegneri, nude tra i motori o sotto le stelle, straniere, atletiche, pigre, semplici o complesse, sole, felici, lesbiche, maggiorate, androgine, malate, persone.
Se è no, è NO.

mercoledì 7 gennaio 2015

Parole bambine, vecchi orrori.

7 gennaio 2015

Mia figlia ha sei anni e un'idea semplice e definitiva del bene e del male. Mi osserva e capisce che è una giornata diversa dal solito. Vuole sapere. Chiede e io rispondo. Uso metafore a lei comprensibili e le parole "libertà-religione-scherzo-morte" compongono una fiaba nera, ma ricca di significati e speranza. E' dispiaciuta. Molto. Ci pensa su. E ci ripensa. Quindi trova la sua risposta.
"Mamma io non credo in Dio, Erika sì e Amina ne ha uno diverso. A me non importa. Litighiamo ma poi cambiamo gioco. Credi che questi grandi...dopo oggi...da domani, saranno tutti buoni buonini?"
Le sorrido. Il micio di casa ciondola fino alla poltrona e poi si accascia esausto su un fianco.
"Mi piace ridere mamma, guarda il nostro gatto grasso." Lo indica. "Adesso scoreggia!"
La amo. 
Il futuro non è perduto, mai.

mercoledì 22 gennaio 2014

Ristrutturazione

Io e mia figlia abbiamo avuto un incidente. Guidava il nonno. Simpatico quadretto familiare.
Una macchina non ha frenato in tempo, l'altra si è attardata e la prima è finita sulla seconda, come quando si gioca a rubamazzo.
La realtà è cambiata, deformandosi definitivamente. Un colpo di troppo. La scena è passata da serena a tragica in un battito di farfalla, la solita, quella che provoca gli tsunami, sta stronza. In un altro baleno Rebecca ha fatto esplodere con la testa il finestrino. Era legata, sia chiaro. E, per mantenere il ritmo, a briglia sciolta si è scatenata la mia paura "come stai? ci vedi? parlami!"
Lei, dopo aver finito di piangere, si è guardata intorno, si è toccata la nuca ancora impolverata di vetri e mi ha guardato tutta felice. (Felice?)
:- Mamma, ho i capelli pieni di brillanti, sono magnifici. Luccico. -
E luccicava davvero mia figlia.
Beata innocenza, questa sì che è una ristrutturazione!

M.P


lunedì 22 luglio 2013

C'è il mio silenzio.



Il silenzio comunica sempre. E' chiaro, risaputo e intuibile. 
C'è il silenzio della madre, spesso rigoroso di fronte alla figlia e rassegnato accanto al marito.
C'è il silenzio premonitore, quello che si respira in campagna prima di una catastrofe, prima del boato della terra che trema o delle onde che ti portano via.
C'è il silenzio quieto, dove i rumori sono tutti nella testa di chi sa ascoltare, è un silenzio simile ai sogni.
C'è il silenzio dell'attesa, lì nemmeno il tempo fa rumore. E non lo fa, che sia buona o atroce la sorpresa "fracassona" che si porta appresso.
C'è il silenzio omertoso, costruito sul falso rispetto e annegato nell'ignoranza, senza pietà.
C'è il silenzio imposto con la paura e le botte.
C'è il mio silenzio editoriale che è quasi un suono, una nota carica di aspettative, la prima di un concerto.
Il nuovo libro del signor Mocha è quasi terminato.
Shhhhhhhhh


di Manuela Paric'

mercoledì 26 giugno 2013

Feste dei bimbi

Rebecca ha 4 anni. Rebecca va alla festa del suo ex asilo. Rebecca saluta le maestre. Le maestra salutano Rebecca. Rebecca ricorda le maestre. Le maestre ricordano Rebecca. Rebecca è cresciuta. Le maestre no. Rebecca si guarda intorno. Rebecca osserva i vecchi piccoli amici. Rebecca scoppia a piangere. Rebecca dice:<E' la malinconia del tempo che passa>. Rebecca ha 4 anni.


di

Manuela Paric'

mercoledì 19 giugno 2013

Giorni difficili e facile ironia.

Certi pomeriggi sono particolarmente difficili.
Mia figlia va in bagno.
Passano 5 minuti.
E' chiaro che non è pipì.
Mi chiama per pulirla.
Vado.
Mi chino, sorrido e un mollettone rosa che mi aveva incastrato malamente tra i capelli cade nel gabinetto. Ovviamente pieno.
Ecco.
Lei urla.
Io prendo le pinze da fritto. <disgustoso>
Non posso abbandonarlo alla corrente.
Non posso.
Sembro un chirurgo.
Evito lo stronzo.
Aggancio il mollettone.
Mi muovo lentamente.
Ce l'ho quasi fatta.
Ricade, rimbalza sul "fattaccio".
Ogni cosa sembra perduta, sfaldata, distrutta.
Lei urla, ancora.
Mi odia.
Io,
odio tutte...le merde.

giovedì 25 aprile 2013

Il mio 25 aprile in campagna

Oggi ho deciso di zappare, di dedicarmi alla terra, ferirla per una giusta causa, rivoltarla come si fa con le teste di polpo e farci uscire qualcosa di buono. Ho deciso di farlo in modo selvaggio, con forza, con entusiasmo. Lanciare semi, sudare e piegarmi, vinta dal mal di schiena. Non sarà facile. E' un'esperienza nuova, dolorosa. Forse non è nemmeno il periodo giusto e questo un campo fertile...ma del verde dovrebbe crescere e non gramigna, non gramigna.

Manuela P.