giovedì 28 agosto 2014

Vacanze 2014. Sesta tappa.

Ho deciso di tenere memoria di queste mie prime vacanze in camper. Una memoria sottile come un formaggio fuso e rifuso. Scrivo in fretta, tra una buca e un panino. 

Diario di viaggio:  sesta tappa.

24-25-26-27 agosto 2014

Mancano quattro giorni alla fine delle vacanze: uno di camping e il viaggio. Attraversiamo i paesini lungo la costa, pranziamo in trattorie minuscole nascoste nei vicoli, camminiamo su pietroni lucidi e antichi. Ci godiamo il brutto tempo.

I vicini della piazzola accanto sono Italiani. Parlano allungando le vocali e attenuando le doppie. Ogni sera sistemano il camper come se partissero e poi si mettono a cenare su un tavolino minuscolo e traballante, si sorreggono con le forchette. Stanno gobbi. Mangiano parmigiano e pasta e bevono vino. Il marito parla di quanto ha nuotato, di quanto ha pescato, di quanto è bravo. La moglie non lo ascolta mai, annuisce e guarda il piatto. Forse si amano, penso.
Hanno un bambino magro e con la pancia molle. E’ abbronzato solo in viso e i capelli sembrano cresciuti in un sol colpo. Gioca con Rebecca: le ordina di andare a destra e a sinistra, di fare questo e quello. Io gli avrei già ordinato di andarsene via, ma Rebecca è contenta, le basta avere qualcuno con cui correre. E corrono, saettano lungo il prato inseguendo un gatto.
Il micio
Il micio si fa prendere e viene torturato, accarezzato, amato troppo. Io lo ricompenso con tanto cibo.

Ogni tanto ci portiamo verso la spiaggia, il mare è scuro. Il padre del piccolo dittatore riesce sempre a spaventare l’esperto pescatore, che fiacco nutre i pesci sul molo. Gli arriva alle spalle e, senza salutarlo, inizia a parlare di politica. Si fa domande, risponde e si incoraggia. L’esperto pescatore non pesca niente e rimpiange la solitudine dei fiumi.

La sera cuciniamo il polpo. L’esperto pescatore/camperista lo assaggia quando è ancora duro e gommoso. Impreca, si tocca il dente debole e valuta l’ipotesi di sbarazzarsi di ogni tentacolo. Non ha pazienza. Si sta vendicando, dichiara. Ne ha ben donde, sostengo. Io non lo mangio, decide Rebecca. L’allegra famigliola di italiani bussa, loro il polipo lo vogliono. Glielo diamo, vinti.

Il polpo
Il giorno dopo Rebecca sta male, rigurgita bile nel cestino della frutta. (Per fortuna non è colpa del polpo, sarebbe stato un ulteriore smacco.) Passo la giornata a pulire e a guardare cartoni animati di conigli rosa e saltellanti. Il bambino italiano osserva mia figlia da oltre la zanzariera e non si dà pace. Mosso da compassione, l’esperto camperista rintraccia il gattino-troppo-buono e lo porta in cuccetta. Il micio si arrotola tra la sua coda e il braccio di Rebecca. Si addormentano. Mi addormento. L’esperto camperista dorme. Con le prime luci dell’alba giunge un grido. È l’esperto camperista folgorato sulla via di Damasco da un merdone di proporzioni bibliche che il piccolo-minuto-dolce-micetto gli ha piazzato proprio sotto il naso. Come era logico. L’esperto camperista si tira in piedi, barcolla, non capisce nulla. Ha la bocca impastata e il fiato barricato. Bestemmia, non sa che fare e quel che fa, lo fa male. Arrotola il tappeto annientando ogni possibilità di pulirlo, incenerisce il gatto con un uno sguardo e quasi piange.
Deve assolutamente rimettersi a dormire, dico tra me e me. Prendo un sacco della spazzatura, ci infilo il tappeto, prendo anche il gatto e porto entrambi fuori dalla portata dell’esperto camperista. Appena sono da sola rido e una parte di me si congratula con il minuscolo felino.
Sono le 6.00 e un tedesco sta nuotando come se non ci fosse un domani. Io sbadiglio e me ne vergogno. Solo un po’.

L’"incidente" fecale è stato fatale, cambiamo campeggio inseguendo il temporale.
Giardino zen
Appostato sul nuovo lido, solo e triste, l’esperto camperista compone giardini zen per ritrovare quell’equilibrio che non ha mai avuto. Si ferisce uno stinco e tutto pare tornare alla normalità.

Tra la scogliera è il mare c’è un piccolo spiazzo in pianura, un palchetto artificiale costruito per le schiene dei turisti più esigenti. Lì, due individui stanno suonando. Sono un uomo e una donna sui cinquant'anni. Lui ha in grembo una chitarra, indossa una maglia celeste con un simbolo indiano sbiadito impresso sul davanti. Ha pochi capelli, quasi tutti sui lati. Lei è una donna ordinata, stretta in pantaloncini color mattone e camicetta bianca. Sul naso spicca un paio di occhialini severi. Abbraccia una fisarmonica. Sono seduti su sedie rosse e di legno. Di fronte a loro un leggio sottile offre un walzer triste. Il mare gorgoglia e in questo campeggio vuoto si sta per raccontare una storia. Sembra di essere in un film di Kusturica, attendo che un vecchio gitano con un dente solo ruzzoli dall'alto e inizi ballare con le ginocchia alzate. E anche il gomito. Arriva invece un cieco. Ha la barba bianca come il suo bastone. Tiene il tempo.
I suonatori
L’arancio della sua camicia hawaiana mi mette allegria.
L’uomo che suona segue lo spartito tenendo il naso all’insù e più muove le dita sulle corde, più il naso gli diventa rosso e le guance pure. Ha le mani pallide, sembrano mani importanti.
Piano piano simili a granelli di polvere i capeggiatori appaiono e si spargono tra i massi. Stanno in piedi, rigidi ma non indifferenti. Le orecchie tese e negli occhi la speranza che con la musica arrivi anche il sole. Le note vibrano e le teste oscillano. Siamo in ogni tempo. Non è né giorno, né notte. Ammassati tra gli scogli sembriamo dei fantasmi, dei riflessi. “I cattivi non esistono”, mi ha detto una volta un’amica e in questi momenti lo credo davvero. Siamo solo uomini abituati a diverse penombre, incastrati in questa vita indifferente. Rebecca prende un foglio, si mette a terra vicino ai due musicisti e disegna. Credo abbia capito tutto.
Il grigio del cielo sembra quasi metallo. Un coltello d'acciaio. Le nuvole iniziano a buttar giù gocce, piccole e pungenti. Nessuno si muove. Il ritmo aumenta, la melodia si interrompe e i piedi dei musici diventano dei tamburi.  Mi sento primitiva, stranamente felice. La musica avvolge ogni cosa, coperta discreta e calda. Esonda sulla nostra pelle. Una ragazza giunge correndo e inizia a danzare, ruota su se stessa, salta. I capelli le coprono il volto e le braccia si allungano a richiamare la terra.  E’ bello vederla ballare, non so se riuscirò mai a essere così libera. Con lei le note precipitano, si accavallano e si inseguono, veloci. Una corsa allegra e disperata. La donna della fisarmonica si alza, si mette un paio di  occhiali neri da rock star anni 80 e chiede all'esperto campersita di scattarle una fotografia. Sorride e suona. Non sa ancora che verrà con la testa mozzata. Un cane enorme, ricoperto di macchie, sfreccia tra i villeggianti. Avanti e indietro. Le orecchie rimbalzano e il muso sembra fatto di solo naso, morbido e nero. La canzone si fa delicata e il cane piscia.
Lo stinco dell'esperto camperista

Io rifletto su come queste vacanze pigre e ignoranti siano state scandite dalle condizioni meteo. Mi sento vicino agli uomini preistorici e arranco, con clava alla mano, per raggiungere la mia grotta. Il camper, manco a dirlo, è nell’occhio del ciclone. Una scure plumbea di corrente e gelo si è abbattuta su di noi.
L’esperto camperista ci rassicura: “Non ci ribalteremo!”. Ora sì che sono preoccupata. I legni scricchiolano e le sospensioni sobbalzano. Il camper è un tagadà. Per tranquillizzarci, l’esperto camperista gioca con la porta, la sfida. La apre e combatte con il bicipite d’aria che prova a schiacciarlo. Non respira. Mugula, ha il polmone compresso dalle raffiche. Vorrebbe smettere ma l’alluce gli si incastra in una guarnizione e attende rischiando di soffocare. Il vento infuria, non so quale titano abbiamo fatto arrabbiare. Ora cominciamo a parlarci ad alta voce, il resto ce lo dice la natura.
– Facciamo un esempio di fisica…– L’esperto camperista prende una scatola di biscotti, la ribalta e un centinaio di briciole tracimano sul parquet.
– Facciamo finta che questa scatola sia il camper. Vedete questo punto qui? – Ci indica un fiore di vaniglia al centro del parallelepipedo.
– Questo è il baricentro…– Vomita una spiegazione scientifica sui generis e io immagino di essere in un film. Mi vedo con gli occhi dello spettatore da salotto e lo sento dire “Uscite dal quel cazzo di camper! Cretini!”  
Do ascolto allo spettatore da salotto, ingabbio Rebecca in un k-way di 4 taglie più grande e mi porto dentro la tormenta. Fatichiamo a stare in piedi. Non so come si chiami questo ventaccio, se non è la Bora deve essere un suo fratello gemello. Tengo stretta la mano di mia figlia, lei vola. Ha molta paura. Gli alberi si piegano, alcune tende si librano tra le fronde e la spuma del mare ci bagna il viso. Davanti a noi una roulotte tonda e vecchia sibila. Mi ricorda una fisarmonica. Mi chiedo se i due cantori stiano già dormendo o se stiano prendendo appunti per una nuova ballata. Rebecca sussulta, io la stringo forte e insieme avanziamo in questa nuova avventura.

L’aria gira tra le ruote, si infila tra i pannelli, si arrabbia e percuote i finestrini. Come una guerriera vichinga sfonda gli oblò e prova a conquistarci. E’ tutto un boato, uno spingi e trema. Nessuno di noi dormirà fino all'alba.

domenica 24 agosto 2014

Vacanze 2014. Quinta tappa.

Ho deciso di tenere memoria di queste mie prime vacanze in camper. Una memoria sottile come un formaggio fuso e rifuso. Scrivo in fretta, tra una buca e un panino. 

Diario di viaggio:  quinta tappa.

22-23 agosto 2014


Il nuovo campeggio è verde, semi-montano, con servizi di lusso e puzza. Il vento schiaffeggia tutta la costa e la spiaggia fatta di sassi resiste a stento alla sua violenza. Da queste parti la sabbia sarebbe una disperazione. Rebecca e il camperista esperto decidono di esplorare un boschetto sulla sommità di una piccola collina, accanto a mezzi lunghi più di 7 metri e lussuosi come la casa di uno sceicco. A dire il vero ho cercato qualcuno con il turbante steso al sole. 
Vista da camper
Tornano dopo 2 ore, hanno dei sorrisi giganti a dividergli il volto e nascondono qualcosa dietro al camper.
Mi guardano, li guardo. Gongolano, non gongolo.

«Glielo diciamo alla mamma?» Squittisce Rebecca
«Glielo facciamo vedere!» Sentenzia l’esperto.

Mi obbligano a tenere gli occhi chiusi e mi trascinano fuori.

«Mmmhh che buone…»

Sento l'esperto camperista masticare. Rebecca, entusiasta, si aggrappa al mio vestito e quasi rimango nuda. Apro di scatto gli occhi. Tre secchi colmi di mandorle giacciono a terra.

«Sono mandorle.», affermano.
«Prendine una.», dicono.
«Ce ne sono tante!», gridano.
«Sono velenose mandorle amare.», sussurro.
«Come velenose?», frinisce Rebecca con la voce strozzata e il terrore che l’attraversa.
«Quanto velenose?» Chiede l’esperto camperista tenendosi la mano sullo stomaco.
« Abbastanza velenose.» Alimento la suspence.

Rebecca inizia a piangere, dichiara di averne mangiate tre e ulula avvertendomi che non desidera morire, che è troppo presto. La consolo come solo una madre può. Le dico che ne ha mangiate il limite consentito e la bacio in fronte, sulle guance e sulle manine sudate. Intanto l’esperto camperista si fa sempre più pallido.

«Io ne ho ingerite sei.» Si sbottona finalmente. 
«SEI sono troppe, vero? SEI sono letali? Dove sarà un ospedale?» Salmodia goffamente.

Io non rispondo, lo torturo. Lo salva google. Da interminabili sedute in bagno non lo salva nessuno.

Risalendo
Appena giunti al nuovo camping si ripresenta il problema dei liquami. Non riusciamo a sbarazzarcene nel modo consueto (rivelerò le modalità di scarico solo tramite messaggio privato), stiamo facendo la figura dei coglioni! Ciò nonostante questa ennesima occasione mi ha dato modo di scoprire qualcosa di nuovo. Sono seduta su un muretto accanto ai bagni. Il sole delle 17 illumina la ghiaia e i muretti, ricoprendoli d’oro. Le fronde degli alberi sono stranamente immobili e i rumori attutiti dai miei pensieri. Tre uomini con un trolley di plastica attendono sul piazzale. Hanno addosso l’impazienza mista alla rassegnazione tipica dei pendolari.
Dove stanno andando?
Non ho una risposta. I loro trolley si assomigliano, hanno colori autunnali e linee pratiche. Un quarto uomo raggiunge i tre viaggiatori trainando un valigiotto verde marcio e li saluta complice.
Qui c’è del movimento!
Controllo a destra e poi a sinistra. Nessun binario, treno, controllore. Eppure i tre stazionano, ordinatamente. Sempre più curiosa e poco discreta inizio a stazionare anche io. Finalmente il primo della fila si muove, con un cenno del capo si congeda e si dirige verso la botola degli scarichi e lì svuota il suo trolley. DAMN’T! Non contiene vestiti. La cosa mi illumina e mi disgusta. So già cosa regalare all'esperto camperista per Natale.

La sera ritorna il freddo. Come chiocciole ci rintaniamo nella nostra minuscola casa e ci dedichiamo alle piccole routine. L’esperto camperista prepara le lenze: sbatte la testa contro antine, spigoli, scalette, si punge con ami e coltellini, sanguina. L’esperto camperista è un uomo magro, anche troppo. Ha le occhiaia e non sta mai fermo. Saltella, si scuote manco avesse addosso le mosche e dimentica quel che sta facendo. Sono preoccupata per lui, si sta annientando. Non ce la farà a resistere a queste vacanze.
Rebecca e io fatichiamo a prendere sonno, siamo circondate da tende e tendine e per ogni tenda e tendina c’è un uomo che russa. Stanno dialogando, chi con fare interrogativo, chi fischiando, chi grugnendo.
Ora esco e dirigo l’orchestra!
Non faccio in tempo, arriva la fine del mondo. Il firmamento si spalanca, un lampo imbianca e un fulmine colpisce la montagna. Il boato è assordante, continuo e spaventoso. Io, nota ottimista, come sempre aspetto che un grande macigno ci schiacci rotolando a valle. Non accade nemmeno questa volta, per fortuna. Il tendalino ondeggia con forza e il camper lo segue. Stiamo ballando. La gente che russa ora borbotta. La pioggia si impadronisce di tutto. Provo a dormire con una preghiera stretta in pugno: “fa che l’esperto camperista non esca sotto il diluvio” Rimarrebbe (è certo) immediatamente folgorato.

Dal bar
Al mattino la terra è ancora bagnata, l’odore di umido ha attecchito sugli asciugamani e una decina di persone stanno liberando le tende da litri d’acqua in eccesso. Tutti sembrano stanchi.
Rebecca fa amicizia con una bimba italiana. L’esperto camperista fa amicizia con un esperto sciatore. Io faccio amicizia con il barista. Siamo tutti contenti. Scopro che un vero salto sulla neve deve essere affrontato tenendo gli sci perfettamente inclinati di 48 gradi (???) e che si pesca di più con la carta stagnola che con i vermi. Ordino da bere e mi immergo in me stessa.

Verso le 15 l’esperto pescatore (ex esperto camperista) claudica fino al molo. I bimbi lo seguono come topi. Insieme si mettono a dare la caccia al cacciabile: pesci, polpi, conchiglie. Io rimango sdraiata sotto il sole. Li osservo senza voglia, una palpebra alzata e una no. Si muovono traballanti sugli scogli e scrutano ogni anfratto. L’esperto pescatore cade, è ormai ridotto a un mucchietto di stiracchiate cartilagini senzienti. Io sono felice (che stronza!), sto accumulando appunti su appunti per il nuovo libro. Lui è Bembo.

In questa vacanza i polipi sono degli sfortunati protagonisti.
Dopo quasi due ore di battuta serrata l’esperto cacciatore agguanta un tentacolo. Da sotto  un pietrone bagnato emerge una piovra grande e grigia.  L’esperto pescatore la lancia sull'asfalto. L’animale si difende e spruzza inchiostro ovunque. L’esperto pescatore è nero. La bestia prova a fuggire reggendosi sui tentacoli, sembra fatta da mille serpenti. Mi ricorda la dea Kalì. Un croato le si avvicina e inizia a prenderla a calci. Uno, due, tre calci. Sono tutti  dei barbari. Mi alzo, voglio salvare la creatura. Non faccio in tempo. Sotto gli occhi di mia figlia la piovra viene freddata con una sassata in testa. Rebecca strilla, è disperata. Io squadro con odio l’esperto pescatore.


«Pensavo che poi lo liberassi, il polpo», abbaia la piccina indicando l’esperto pescatore. Il ditino accusatore minaccia più di mille parole. 
«Mi avevi detto che volevi mangiarlo.» Si difende l’esperto pescatore.
«Non te l’avrei fatto vedere, se lo avessi saputo.» Insiste la piccina.


I bagnanti si zittiscono e il molo si trasforma in un palcoscenico. I due protagonisti si rimbeccano a lungo e si scopre che il colpo da maestro dell’esperto pescatore è stato in realtà un colpo di culo di una bimba di 5 anni. Lui ne va comunque fiero. Forse lo perdono, la foga e la noia hanno guidato la sua mano. Amen.

Ceniamo con poco e chiacchieriamo fino a tardi. Verso l’una di notte inizio a passeggiare lungo le viuzze che tagliano il campeggio. In lontananza sento il rumore dei marosi. Ci sono i grilli, instancabili. Ci sono anche le stelle. Accanto alle tende stanno allineate coppie di ciabatte. Cammino tra gente che dorme e che lascia le scarpe sul prato. Considero le vite di tutti. Penso che siamo compagni in questo luogo-non-luogo, accomunati da poco e divisi dal linguaggio. Avanzo, una brezza fresca mi copre le spalle, un gatto mi raggiunge. Vorrei rimanere così, a vagabondare fino all'alba.

giovedì 21 agosto 2014

Vacanze 2014. Quarta tappa.

Ho deciso di tenere memoria di queste mie prime vacanze in camper. Una memoria sottile come un formaggio fuso e rifuso. Scrivo in fretta, tra una buca e un panino. 

Diario di viaggio:  quarta tappa.

19-20-21 agosto 2014

Siamo giunti a Sukosan. Dovevamo intuirlo dal nome che qualcosa da queste parti non andava: il mare si assottiglia, diventa basso e leggermente paludoso. Eppure...il porticciolo artificiale è pieno di barche e barconi e lungo il litorale spuntano come funghi camping unza-unza.
Il mare è sempre bello
Decidiamo di tornare indietro e stanziare in un mini campeggio che avevamo visto arroccato sotto un ponte, tra due montagne a picco sul mare. Lo raggiungiamo verso le nove di sera. Al mini bar-market-ristorante-disco-tabaccaio-tutto-in-uno stanno servendo dei calamari alla griglia  e in sottofondo suona una musica malinconica, la voce del cantante è profonda e nera, in netto contrasto con le parole piene di K, H e J. Immagino stia raccontando di un amore di guerra o di un naufragio. Non ci stupiamo particolarmente di finire parcheggiati accanto ai cessi e ai bidoni dell’immondizia. Al mattino il 70% dei villeggianti se ne è andato e ci spostiamo in un posto dove respirare meglio e dove essere meglio divorati dagli insetti locali. Avete mai conosciuto una zanzara croata? No? Siete stati fortunati. Io generalmente sopporto le punture con stoico menefreghismo, non questa volta. Qui le chiamano komarac (che già suona minaccioso). Sono aliene. Hanno denti grandi e puntuti come quelli di un vampiro di 90 kg. Questo campeggio è la loro tana, escono al vespro e cacciano per circa due ore. Mietono molte vittime innocenti e tornano nei loro anfratti sazie e panciute. Invisibili e discrete.

In spiaggia ci sono solo allegre famigliole. Quelle italiane sono composte da padre abbronzato che parla di pesca osservando il fondale munito d'occhiale Ray Ban; madre in mini bikini nero, unta come nemmeno le patatine fritte dei MacDonald's possono essere; e bambini inquieti che gettano pietre da un chilo a un metro dai bagnanti. Poi ci sono gli altri, quasi tutti biondi e impegnati a nuotare. Io e Rebecca tentiamo di affogarci a vicenda ma veniamo distratte da un lungo applauso e da gridolini tipici dell'esaltazione. Un uomo sui 55 anni sta camminando in mezzo al mare, è scuro come il cuoio, ha i capelli grigi con ricci che gli scendono lungo le guance. La falcata è fiera e il petto pieno. Tiene il braccio alzato e sulla sommità un enorme polpo lo avvinghia. La folla in mutande lo reclama. Lui li lascia attendere, sembra rallentare. L’euforia aumenta. Io e Rebecca pensiamo che sarebbe bello se il polpo fuggisse con un guizzo o divorasse la mano callosa del suo carnefice. Quindi torniamo ad affogarci.

Scorcio e amicizie
Accampata vicino a noi c'è una combriccola di sportivi austriaci. Sono tutti tiratissimi, magri e nodosi da far sia spavento, sia invidia. Hanno dei polpacci antiproiettile e dei figli che assomigliano a canne di bamboo. Si aggirano in tenuta mimetica, lasciano scoperta più pelle tatuata possibile e scrutano il terreno e le rocce che sovrastano il campeggio. Improvvisamente, appena prima di cena, il padre di famiglia (uomo con il codino e il ciglio affilato) bacia la moglie (donna coi capelli rosso fuoco e spalle pattinabili), ordina al figlio di giocare con dei legni e schizza verso il versante sinistro della montagna. Inizia ad arrampicarsi, veloce quanto uno stambecco in pianura. Ciondola aggrappandosi a massi appuntiti e appoggia i piedi ovunque. Se iniziasse a tessere una tela non ne rimarrei meravigliata. Nel mentre la compagna punta un boschetto di rovi sull'altura opposta, ci si incastra, si punge, ringhia e lo supera, avanza aggrappandosi a dei ramoscelli, strappa ciò che si frappone fra lei e il monte. Raggiunge la nuda pietra e inizia la sua scalata. Arrivano in vetta 30 minuti più tardi, contemporaneamente. Uno a destra, uno a sinistra. Tra loro il vuoto. Si salutano quasi si stessero guardando allo specchio per la prima volta, come  fanno i gatti. Scattano due selfie e slavinano a valle, contenti. Ecco, siamo appostati accanto a una famiglia di pazzi, fossero almeno caduti avrei avuto di che scriverne...
Noi siamo più pacati, sicuramente più imbranati. L'amico camperista si è rotto l'alluce inseguendo una ciabatta, credo sia una maledizione.  

I giorni si susseguono tiepidi e ventosi, la notte arriva ululando e i temporali trasformano le piazzole in acque salmastre. Le tende galleggiano e qualcuno bestemmia. Il mare rimane sempre bellissimo.
Domani ci sposteremo, dovremo anche occuparci delle feci. Credo ci aspettino tempi duri.

martedì 19 agosto 2014

Vacanze 2014. Terza tappa.

Ho deciso di tenere memoria di queste mie prime vacanze in camper. Una memoria sottile come un formaggio fuso e rifuso. Scrivo in fretta, tra una buca e un panino. 

Diario di viaggio:  terza tappa.

17-18 agosto 2014

Vivere inclinati di 30° ha i suoi vantaggi:
  •           non bisogna spostarsi, si rotola
  •           da sdraiati si combatte il gonfiore alla gambe senza bisogno dei cuscini
  •           non ci si affanna per recuperare le cose, si attendono
  •           il mondo si osserva da una prospettiva insolita e si vede tutto raggrumato in un angolino.
Certo non sono tutte rose e fiori. Ci si ritrova a dormire in ginocchio, sospinti contro le pareti; quando si fa pipì ci si deve tenere come se si stesse scalando l’Everest e cucinare diventa un’impresa da funamboli: ferma quel pentolino!

Eccoci
Da buoni italiani il nostro primo vero pasto “cotto e mangiato” (citazione dotta eh) è stata una pastasciutta. Quale cliché! Ma non potevamo fare altrimenti. Io e Rebecca abbiamo atteso invano che l’esperto pescatore arrivasse con un bel bottino. Purtroppo l’amicizia e la buona volontà non sono bastate: l’esperto pescatore non è riuscito a procacciare alcun cibo. E’ stato bravissimo invece a ferirsi in profondità il pollice della mano destra nel maldestro tentativo di sradicare una patella da uno scoglio; ed è stato decisamente abile nell'inserire, nel medesimo pollice, un amo accompagnato da un pesetto di quasi due etti. Insomma, niente pesce.

Il camping di Povile era meraviglioso. Non c’era nulla, servizi minimi, pochi alberi e un baretto privo quasi di tutto. La vista però era stupefacente.
Ci svegliavamo la mattina con già la salsedine addosso e la voglia di fare niente. Il sole era pallido e debole, e il mare fatto di invisibili cubetti di ghiaccio. Solo la Barbie ha avuto il coraggio di fare il bagno. “Lei tanto è abituata a fingere felicità”, mi ha confessato Rebecca. Così l’abbiamo punita.

Summer Barbie


Questa prima esperienza ci ha insegnato molto.
Ci sono due cose che un camperista deve sempre avere sotto controllo:

  •           Il denaro,
  •           La merda.
Abbiamo perso il dominio di entrambi.

Quando una casa ha le ruote nasce la nuova e impellente questione delle "impellenze". La necessità di sbarazzarsi dei fluidi e degli scarti che l’uomo-parassita produce è una faccenda seria e di primaria importanza. “Voglio un silos, sì lo voglio un silos per riporvi i frutti del mio corpo”, cantavano Elio e le storie tese…ma ce ne vorrebbero almeno tre.

Prima di rimetterci in marcia siamo andati goffamente alla ricerca del “pozzo delle acque scure” (nome suggestivo) e abbiamo compiuto la nostra eroica impresa. Fallendo.

Sequenza passo a passo, come fossimo ancora lì:
L’amico camperista sbaglia subito a leggere un cartello e scarica un quintale di liquame in una piccola grata a cielo aperto. Tenta di rimediare annaffiando il tutto con una canna dell’acqua per far sparire il grosso. Senza farsi notare spruzza del deodorante per ascelle nell'aria e sventola le mani per disperderlo meglio.
Io mi vergogno.
In tutta fretta, inseguiti dal cattivo odore, andiamo a pagare i pernottamenti. Ennesima piccola sciagura, l'ennesimo servizio non offerto: il pago bancomat. Frughiamo nelle borse, nel cruscotto e sotto i tappetini, raccattando 20 euro in monetine da 5, 10 e 20 centesimi. Li offriamo alle cassiere (ormai sanno chi siamo!) e le salutiamo garbatamente. Ci rispondono sghignazzando, stringendoci la mano e bisbigliando Italiansky…per fortuna non aggiungono idiotisky. Ce lo saremmo comunque meritati! Sono belle così sfacciate e l’idea di lasciare un ricordo indelebile, seppure idiota, mi rallegra.


Faraglioni ruvidi e immortali ci hanno osservato fare le valige e sgommare verso sud, nella speranza di trovare il caldo. Lo abbiamo raggiunto 90 Km più a sud. Ora siamo intrappolati in un camping immenso. L’odore di grigliata e abbronzante sovrasta quello dei pini e dei gabinetti. Bambini di ogni nazionalità hanno qualcosa da urlare e l’acqua è oleosa. Amo la Croazia, ne conosco il fascino e l’apprezzo, ma questo luogo pare un girone infernale. Domani scappiamo.
Le gratificazioni non sono comunque mancate: siamo parcheggiati in piano (è già un successo) e sono riuscita a leggere per un'ora di fila. Rebecca era impegnata a costruire un solido fortino con i sassi. Lo innalzava e cadeva...lo re-innalzava e le ricadeva. Un po' rideva e un po'si arrabbiava. L’ho trovata una grande metafora della vita.

Sul molo tre figuri di tre diverse altezze osservavano i bagnanti con fare critico. Dei vigilantes: il signor pancia tonda, il vecchio culo secco e madama collo lungo. Vicini scomodi della porta accanto, esseruncoli curiosi, rapiti non dall'immenso blu ma dalla fauna locale. Nascosti da vistosi occhiali scuri seguivano gli spostamenti dei costumi, dei culi e delle cosce molli di persone qualunque. Non mi stavano simpatici.

Si dorme
Alla sera il camping ha smesso di essere quell'ammasso fastidioso di rumori e odori e si è trasformato in qualcosa di più cimiteriale. Ora sono le 20.30 e ascolto un austriaco che russa. Mi chiedo se le persone si divertano a stare in vacanza, se abbiano ancora qualcosa da dirsi dopo essersi cotte al sole. Se anche le pause non siano un obbligo. Rebecca cade con il gelato in mano e ci scappa da ridere. E' un momento di felicità pura. Passa subito, così come è arrivato. L’austriaco invece russa ancora.

domenica 17 agosto 2014

Vacanze 2014. Seconda tappa.

Ho deciso di tenere memoria di queste mie prime vacanze in camper. Una memoria sottile come un formaggio fuso e rifuso. Scrivo in fretta, tra una buca e un panino. 



Diario di viaggio:  seconda tappa.

16 agosto 2014

Ieri sera abbiamo mangiato molto, troppo. Grugnendo e biascicando siamo usciti dal ristorante e abbiamo raggiunto il camper. Arrampicarsi sulla pedalina è stato molto difficile: il baricentro era spostato, manco ci avessero riempito le pance con delle ottime pietre. Con soddisfazione ho poi abbandonato il mio corpo sopra il divanetto, terminando di atrofizzare quel che rimaneva dei miei arti e della mia mente. Rebecca, giovane e maledetta, era invece colma di energia, straripava. Teneva le mani sul piccolo ventre gonfio e teso  e mi osservava ridendo, sogghignando anche. Non era stanca e conservava tutta la sua dignità. Io no. Anzi, se ci fossi riuscita avrei anche ruttato e chiesto una cremazione. Il freddo e la cipolla cruda non sono migliori amici.

Inizia la giornata: al mattino la prima sfida è assumere l'aspetto di un essere umano, la seconda attivare una scheda telefonica locale per avere internet a un costo ragionevole.

Seguo le istruzioni diligentemente:
Premere “*” qualche numero, ancora “*” ancora qualche numero
...fatto.
Non va.
Riprovare.
“*” numeri a caso “*”, tento la fortuna.
Non va.
Telefono all'assistenza, poco convinta. L'operatore automatico parla con parole piene di K, H e J. Cerco di captare un "inglesinsky" per cambiare lingua. Lo intercetto. Premo il tasto 7. Funziona. La voce di una signorina russo-londinese mi dice di digitare “*” qualche numero e ancora “*”
...Saluto.
Qualche ora dopo arriva un messaggio:” Welcome to HRphone e dieci righe di K, H, J e asterischi”. Ottimo…ma mi han prosciugato tutti i soldi della scheda. Non importa, sono in vacanza.
Nel mentre si sono fatte le 12.00 e io punto il naso verso il mare. Rispondono nuvoloni neri all'orizzonte. Me ne frego.
Riprendiamo il viaggio.
Lungo la strada che dai monti porta al mare i sassi vengono imbrigliati in reti. I croati sono anche pescatori di sassi, rifletto. Quando ero piccina le frane non venivano preventivamente arginate, soltanto rese manifeste: i viaggiatori erano avvisati del pericolo attraverso segnaletiche caserecce. Usavano dei  cartelli "caduta massi", tutti diversi e dipinti a mano; e se si finiva schiacciati era colpa del guidatore! Loro ti avevano avvertito. 
Immediatamente un ragionamento mi divora. Ma come si fa a schivare un sasso? A prevederlo? A dare il colpo di reni al momento giusto? E' un po' come andare incontro al proprio destino: quando arriva arriva e giunge dall'alto.

C’è la bora, tutto si muove e svolazza. Tranne gli uccelli.
Se il camper fosse più sottile sarebbe una vela, una di quelle giganti che fanno andare le barche veloci come navi spaziali. Ho sempre pensato che il mare fosse simile allo spazio e ora lo intravedo dal finestrino: è una distesa blu e immensa. Stordisce.

Vista dalla "piazzola"
Il vento è terribile. Il guidatore stringe i muscoli sul volante, o almeno immagino che lo stia facendo. Come mi immagino le ruote appiccicarsi all'asfalto, tirare fuori i denti e lottare per rimanere attaccate al suolo.
Piove, nemmeno a dirlo.
Arriviamo fino a un paesino molto turistico, la gente fugge per strada avvolta dai salviettoni. Sono tutti intirizziti e spettinati.  Realizzo che anche in Croazia l'estate quest’anno sembra non essere mai arrivata. Le persone abbronzate sono poche e sono a macchie. Non farò alcuna battuta sulla Dalmazia e sulle macchie, sarebbe sprecata.
Decidiamo di non fermarci. Diamo un’ultima occhiata al porticciolo e a un bimbo che corre sul molo e riprendiamo la via lungo la costa. Il camper si arrampica su strade costruite lungo dei burroni e corre verso la nostra prossima tappa: un gelido campeggio buttato a caso su un golfetto.

Online le previsioni meteo dicono che sopra la mia testa ci sono cicciotti-dolci-nuovolotti sparsi, simili a zucchero filato. Mentono. Dice le bugie anche il titolare del campeggio: "Sistematevi dove volete, c'è posto."
 Riusciamo a parcheggiare il camper quasi a ridosso degli scogli. Sta storto e inclinato. Con un tempismo perfetto le raffiche di vento aumentano e io spero di non rotolare. Sarebbe una fine umiliante.

Fermi, finalmente. Quasi.
Il granchio
Rebecca spalanca la porticina e si proietta giù come un cane curioso e felice. Trotterella tra massi e rocce puntute. Usa la corrente per sostenersi e urla <Peschiamo, peschiamo?>
Io vorrei confezionare i regali di natale, prepararmi una cioccolata calda e leggere. Accenderei anche un camino, lo ammetto. Mi butto addosso un plaid e la seguo. La tempesta ha raggiunto il mare. Gli abissi ruggiscono e in lontananza si intravede l’apocalisse. Quattro ragazzette tedesche si tuffano e non congelano. Il mondo è bello perché è vario. Rebecca prende un granchio e non è un modo di dire. 

Verso le 19 ritorna il sole ma solo per salutare. Due turisti si piazzano con delle seggioline pieghevoli davanti al nostro ingresso. Rimangono seduti per 45 minuti. Immobili. Tengono una birra in mano, senza berla. In testa portano un cappello di lana. Devono essere degli habitué.

La mia piccola cagna nuda sente odore di maschio. Abbaia. La notte sarà lunga e colma di sorprese.

Manuela

sabato 16 agosto 2014

Vacanze 2014. Prima tappa.

Ho deciso di tenere memoria di queste mie prime vacanze in camper. Una memoria sottile come un formaggio fuso e rifuso. Scrivo in fretta, tra una buca e un panino. 


Diario di viaggio:  prima tappa.

15 agosto 2014

Il mezzo
24 h a passo di lumaca. Il camper è un organismo vivente, gorgoglia vibra e si nutre di luce. Ha cavi ovunque, vene collegate a ben 4 cuori di litio e poesia: batterie. Il padrone del mezzo è un esserino previdente, continua a comprare accumulatori e inverter. Li cerca in ogni autogrill. La cosa mi inquieta, temo che prima della fine della vacanza saremo costrette, io e mia figlia, a tornare a casa in treno per fare spazio a tale tecnologia. 

Cane?
Alcuni eventi folli hanno caratterizzato questa prima tappa. Siamo riusciti a beccare un croato in contromano all'uscita dell'autostrada, niente di strano per un croato (conosco la mia discndenza!), se non fosse che andava velocissimo e in retromarcia. Zigzagava tenendo il suo braccio peloso fuori dal finestrino. Lo slittare delle ruote era accompagnato da qualche bestemmia, ne siamo quasi certi.
Al suddetto casello (vicino a trieste) la cassa automatica ci ha dato il resto in franchi. Che fregatura! Abbiamo provato a disfarcene ma tornavano sempre indietro come i cattivi presagi. Infatti poco dopo nuvole grigie hanno oscurato il sole e una pioggia selvaggia ha interrotto il nostro cammino. Ha piovuto, forte e a lungo. Litri di acqua hanno bussato, battuto, picchiato il tetto della nostra micro-casetta e la via, in un "lampo", si è fatta nera come un fiume a mezzanotte. Fermi. Fermi a lato strada, consci della nostra caducità, ci siamo messi a pensare al futuro.
...
Dormiremo tra i monti, è deciso, in Slovenia. Sentiamo già i lupi ululare e il vento calare, per questo e per rasserenarci, divoreremo un intero maialino. (Odiatemi pure) Rebecca canta Fabri Fibra (%£$sgrunt%&) e il mondo sembra quasi un posto normale.

Manuela

giovedì 7 agosto 2014

La Bestia è nata.

Vera Q. ha partorito. Lo ha fatto urlando, graffiando e ricoprendosi di pelo.
Io ho accettato, con grande orgoglio, di essere la madrina del suo orrido frugoletto.

Di seguito introduzione e primi vagiti.

Introduzione

Il dilemma è sempre quello: essere o non essere?
Vera Q. affronta la questione da donna consapevole, ci si infila dentro con forza e ne tira fuori una risposta fatta di orrore e molteplici dolori.
Gli uomini sanno essere doppi, mezzi e trini.
Si arrovellano tentando di soddisfare ogni parte di se stessi e il più delle volte si arrendono, si perdono o si illudono; aggrovigliati e statici come spaghetti cotti e seccati al sole. Senza sugo, per giunta.
Cosa cerchiamo? Chi siamo? Impossibile rispondere. La vita spesso è una malattia oltre che un dono.
Di certo ‒ ne conviene Vera Q.‒ rimane la necessità di definirci: un lavoro, una casa, obiettivi, attitudini e piccole consuete felicità. Ricordi.
Ci piace essere persone semplici o crudeli.
Navigare sicuri senza brame di conquista o lottare per accaparrarci ogni centimetro di una libertà apparente.
Schiavi, ignavi, eroi o dittatori: tutti accomunati dal medesimo destino e dalla caducità, vera protagonista del tempo e del nostro essere uomini.
Ogni cosa per l’autrice appartiene alla morte… forse.
Dove risiede dunque la speranza?
A ognuno la sua.

Manuela Paric'

Piccolo estratto:

1. Fuori
Enrichetta non stava mai male.
Anzi, non era stata realmente indisposta un solo fottuto giorno da quando aveva memoria di sé.
Nessuna malattia esantematica. Rari, rarissimi colpi di tosse. E la febbre o il raffreddore erano un lontano, quanto blando, ricordo d’adolescenza.
Tutta salute, ecco.
Il viso gioviale, aperto, sano. Due immutabili trecce bionde a cornice di un ovale pienissimo, larghe mani da contadina e cosce grosse come prosciutti.
Era quello il suo segreto d’immunità ai malanni. «Quel salubre strato di lardo impenetrabile anche dai germi», riferiva trillando ai clienti da dietro il bancone dello spaccio di famiglia; quello e la buona merce fatta in casa.
In cinquantasei anni, appena compiuti, non aveva mai lasciato il paesello natìo. Il suo viaggio più lungo l’aveva vista sconfinare di ben quaranta chilometri il perimetro della fattoria.
Non conosceva altro.
Il profumo del mare lo aveva annusato tramite l’ammorbidente per i panni.
Parigi l’aveva attraversata grazie ai canali satellitari.
E, per la miseria, era felice.
Lei accudiva galline.
Allevava conigli.
Mungeva mucche.
Si occupava delle pecore e dei maiali.
Da sempre e, presumibilmente, per sempre.
Di prendere marito non c’era stato verso.
E non si era trattato di un problema di domanda, Arturo sarebbe stato anche un buon partito, concreto e stabile come una delle sue vacche, ma Enrichetta non voleva ulteriori legami. Era una di quelle donne spicce, quelle che causano macchie. Non quelle che lottano per eliminarle.
Lei non sognava una nuova schiavitù e di alcun tipo. E un uomo lo era. Nel bene e nel male.

Vera Q.

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