domenica 31 marzo 2013

Estratti: L'enigma delle scarpe rosse

"Il Signor Mocha la guardò intensamente e finalmente capì l’origine del suo fascino. Era una femmina aggraziata, priva di confini decisi, in lei dominava l'assenza. Come una vergine con le cosce socchiuse donava al mondo la sua identità."


da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

sabato 30 marzo 2013

Poesia: La lunga malattia di nonna


La lunga malattia di nonna

domani arriva, sotto la luce, sotto la neve, sotto il sale
inesorabilmente
portato dagli angeli o portato dal vento
e la vagina non è più vagina
e il corpo non ha più ne pudore ne forma.

mi dicevi che c'erano le nuvole
ed io le immaginavo, nascoste tra i tuoi sogni inquieti,
accasciate dietro al dolore.

e gli occhi non erano più occhi
ed i pensieri non erano che i tuoi.
le lenzuola bianche, i capelli spettinati,
tutta una vita.

saranno mie le tue parole,
almeno per un pò.
Insieme ai ricordi, insieme alle voci,
insieme.



25 luglio 2006 di Manuela Paric'

Estratti: L'enigma delle scarpe rosse

"Il pomeriggio era abbagliante, un sole bianco copriva ogni cosa e il riverbero di quella luce senza alcuno spessore lasciava gli occhi stanchi. Un ragazzino in bicicletta stava facendo la gincana tra le pozzanghere che “puntinavano” la via. La madre gli urlava alle spalle ed in lontananza la città era immobile, dipinta. Jean-Luc aspettava intrappolato nel suo cappotto. I piedi uniti, lo sguardo basso, le mani in tasca. Giulietta era in ritardo."


da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

venerdì 29 marzo 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 7


Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...

Titolo di giornale: Donna morta a Milano, fermato il figlio.

ed ecco il possibile mini racconto...

Sembravano lucciole, piccole scintille, messaggi infuocati sul marmo rosso.
Il sole strisciava lungo la colonna, oltre il divano e si arrampicava sull'ultimo muro per poi allargarsi, tiepido, sul pavimento, accanto a me, come fanno le ombre, anche.
Non l'avevo mai osservata da quella altezza la casa, la mia casa, mi pare chiaro. C'era qualcosa di molto simile alla felicità nel modo in cui ogni oggetto accoglieva la luce. Le carte, i cuscini, gli spigoli dei mobili, la polvere...ogni cosa era al suo posto, immobile, perfetta, in attesa. E la felicità stava tutta lì, in quel silenzio composto. Perfino il bufalo di legno nero, quello arrivato dall'Africa, ed ora senza un corno, aveva trovato il suo spazio, il riparo perfetto, il posto giusto da cui ripartire, uno zoccolo alla volta.
Io me la godevo tutta quella felicità; immaginavo anni di vita eccellente, di piccoli gesti, di libri letti sotto il plaid nelle serate di inverno e di chiacchiere tra donne sudate, nelle calde domeniche d'estate, bevendo limonata. Era tutto lì, tutto lì. La sentivo nascere quell'esistenza e perciò me la godevo proprio quella felicità, in fretta, prima che arrivassero a misurare, a fotografare, a teorizzare.
Ero stata fortunata, non sempre i luoghi si manifestano in modo così chiaro e sereno.
Ricordavo la stanza di mia nonna, il primo giorno dalla sua assenza, non aveva nulla di vero. Il mondo si era appoggiato, fluttuava, tristemente, in uno spazio ormai diventato estraneo. Il toupet di una vita. Chissà cosa avrebbe pensato nonna, vedendomi stesa a terra, con gli occhi sgranati e beati. Mi avrebbe detto che avevo combinato proprio un gran pasticcio e che le macchie non sarebbero andate via facilmente. Si sarebbe spettinata, forse, con quelle dita cicciotte e poi, senza indugi, avrebbe pianto. C'eravamo sempre amate molto. Avevo amato molto anche mio figlio, ogni momento. Da bimbo mi aveva fatto disperare, intere notti insonni e pannolini, e cacche e pianti. Era, tutto sommato, diventato un giovane responsabile, avido, ma con la testa sulle spalle. Io di soldi non ne avevo molti ma, mi pareva, abbastanza. Penso sempre che, se non avesse conosciuto quella sgualdrina cresciuta nel profumo, io e lui ci saremmo intesi meglio. Parlare è importante e noi, da oltre due anni, urlavamo e basta. Poi era morto lo zio, non che ce ne importasse molto, lo vedevamo solo per Pasqua, ma ci aveva lasciato in eredità più denaro di quello che eravamo abituati a spendere. Una disgrazia. Pietro, aizzato dalla stronza, sicuramente,  lo voleva, lo chiedeva, lo pretendeva, tutto. Ed ogni giorno litigavamo, per un assegno e quattro centesimi. Fino a ieri. Ieri è stato dolce, mi ha baciato prima di colpirmi in testa. Non me ne sono nemmeno accorta, mi è dispiaciuto di più per il toro, un toro senza corna non è niente. Io invece ho la mia casa ed un milione di stelle che brillano. Il mio sangue è meraviglioso trafitto dal sole.

di Manuela Paric'

giovedì 28 marzo 2013

Altri racconti di altri: Il vicino sul treno #2 di Paolo Marcotti

Quando salgo Antonio è già lì, al suo posto.
L’idea che trasmette è proprio questa. Quello lì è il suo posto, non potrebbe essere seduto in nessun altro posto del treno, e ci sta seduto come se fosse una sedia di casa sua. 
Non l’ho mai visto prima, ma nessun dubbio sul fatto che si chiami Antonio, non ho ancora fatto in tempo a entrare fisicamente tutto intero nella carrozza che mi sembra di essere colpito da una sberla, una rivelazione violenta, che mi spiega che è così, senza discussioni. 
In tutta onestà, Antonio ha lineamenti ai confini dell’Italia mediterranea. Anzi, ad un’analisi razionale, è quasi certamente nordafricano, il che impedirebbe che si chiami Antonio. O forse no, ci sarà pure un equivalente arabo, in fondo sant’Antonio era egiziano.
Posata a terra, a fianco del sedile, una sporta di plastica. Piena di quei giornaletti pubblicitari con le offerte di ogni sorta di iperluogo che ostinatamente affollano le cassette della posta. Sono decine, e non sono tutti uguali. Sono tutti diversi. Antonio non è un distributore, è un raccoglitore. Accarezzo addirittura l’ipotesi del collezionista, ma non è così: nel rapporto tra Antonio e i volantini non c’è ardore, né rito, né religione. 
Li estrae, uno alla volta, dopo aver riposto il precedente, e li sfoglia con lentezza e rispetto, senza spiegazzarli. Il ritmo è costante, anche se su qualche pagina si sofferma più a lungo. Spesso parte dal fondo. Non è interessato al contenuto, non è a caccia di offerte. Si direbbe che il suo interesse, o sarebbe meglio dire la sua necessità, stia nello sfogliare. 
D’un tratto, comprendo. Antonio è saggio. Antonio assegna allo spostamento ferroviario un ruolo fisiologico e necessario al protrarsi della vita. Come una gallina che cova l’uovo, Antonio in maglione viola cova il suo stesso spostamento. Non c’è nessun bisogno, né per essere se stessi, né per vivere meglio o per essere felici, di appollaiarsi su quell’uovo e quella paglia o su quel sedile blu. Però, va fatto. Però, una volta trascorso il tempo necessario in quell’inutile, fisiologica e vitale posizione, il guscio si spezza, la porta si apre, la vita esce dallo stand-by e riparte.
I volantini non sono che un innocente e poco impegnativo soccorso nella forzosa immobilità. 
Del resto, è piuttosto comune disimpegnarsi sfogliando o leggiucchiando qualcosa… proprio lì, quando è la necessità a costringerci… insomma, ci siamo capiti.

Phab Dixit 3

I due amici risero, all'unisono. Poi Phil gli fece notare che aveva dimenticato l'amore.

"Cosa?", chiese Vincent.

"L'amore. L'amor che move il sole e l'altre stelle. Hai dimenticato l'amore. Quello non c'è, come causa di follia?"

Vincent gli chiese se ora si metteva a citar Dante.

"E perchè no? Tu citi Shakespeare, io non posso citar Dante?"

Vincent non si era nemmeno accorto di aver citato il bardo. "L'amore è causa di follia?", chiese. L'amico gli disse che non c'era foglia che fosse stata mossa sul quell'ammasso di sterco sul quale poggiavano i piedi dall'inizio dei tempi che non fosse stato tirato da un pelo di figa.

Sorrise, e si accese una sigaretta.

mercoledì 27 marzo 2013

Estratti: L'enigma delle scarpe rosse

"<Aiutala Jean-Luc!> gli occhi di Teodora s'erano fatti liquidi, l'azzurro sembrava essersi mescolato con il nero della pupilla e un bagliore che sapeva d'antico li rendeva simili al vetro.



da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

lunedì 25 marzo 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 6


Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...

Titolo di giornale: Scomparso trovato morto in cascinale


ed ecco il possibile mini racconto...


Lui andava pazzo per il maiale. Friggeva le costine, tagliava il salame, preparava zuppa e fagioli con le cotiche e chiedeva sempre al macellaio di tenergli da parte del buono strutto denso e chiaro. Era la sua poesia.

Il giovedì si alzava di buon'ora, arrivava per primo al mercato e osservava Piero e i suoi cugini tirar fuori dalla cella frigorifera dei quarti di porco. Freschissimi. Quindi guadagnava il bancone in tutta fretta, scrutava gli zampini, i tranci di coppa, il sanguinaccio e respirava a fondo, estasiato e finiva ogni volta con l'immaginarsi seduto a tavola con un bel piatto fumante sotto il naso. Va bene che la carne di maiale non era delle più care, ma lui tutti quei soldi per tutti quei meravigliosi pranzetti non ce li aveva. Per questo, usava l'olfatto. Prima di uscire di casa si lavava le narici 3 o 4 volte e ci metteva dentro delle palline di carta ... per non contaminare l'esperienza, diceva.  Era un purista del suino, un ingordo. Un giorno decise di andare a vederli dal vivo, nella fattoria non lontano da casa: indossò dei comodi stivali di gomma, una camicia di flanella ed il suo più bel sorriso. Eccoli li, rosa, cicciotti, lo sguardo intelligente e le ciglia lunghe. Ne rimase affascinato, addirittura più di quando quelle bestie transitavano nel suo intestino, indubbiamente grasso. Una scrofa, giovane e carina, aveva particolarmente attirato la sua attenzione. Nelle notti seguenti non faceva che sognarla. Il grugno morbido contro le sue labbra, le setole al vento e quelle cosce possenti che terminavano in due natiche perfette. Aveva anche perso l'appetito, era l'amore. E l'amore fa fare cose folli anche all'uomo più saggio, figuriamoci a lui. Una sabato, sotto un cielo senza stelle e luna compì il fattaccio. Aiutato dalle tenebre e rassicurato dal suo desiderio, rapì la povera bestia per portarla in un cascinale abbandonato ed intrattenersi con lei almeno fino all'alba. Non se ne sarebbe accorto nessuno, così pensava. Sciocco. A letto con una scrofa da riproduzione! Pazzo! A quello pensava intanto che le accarezzava il testino. Le sue però, la rassicurava, erano emozioni nobili, non voleva godere solo del piacere della carne ma di quello della creazione. Voleva generare una nuova specie perfetta, una specie metà uomo e metà maiale. La scrofa, se pur mesta, era alquanto riluttante a farsi coccolare da uno sconosciuto. Più lui si avvicinava, languido in viso e nei pantaloni, più lei agitava gli zampini e mostrava il temperamento che la natura gli aveva donato. Accadde in fretta: lui rivolto a terra, mezzo nudo e mezzo nel fango, soffocato dal suo animale. Lei che gli sedeva sullo stomaco, le mammelle ancora turgide e piene e gli occhi furbi, furbissimi.


di Manuela Paric'



domenica 24 marzo 2013

Estratti: L'enigma delle scarpe rosse

"La pioggia rimbalzava sui tetti, cadeva sulla strada, scivolava lungo le vie e si fermava tra le pietre della piazza per poi sparire dentro i tombini, sotto la terra, lontano. Sembrava raccolta da una enorme mano e lanciata con forza su ogni cosa. Due anziane a braccetto erano nella corrente, si sostenevano spalla contro spalla, prima avanzava quella a sinistra, poi quella a destra fino a superare l'angolo, senza cadere, senza deviare la rotta.

da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 5


Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...


Titolo di giornale: Avevano mezzo kg di droga, arrestati 60enni.

ed ecco il possibile breve racconto...


- Amilcare hai preso tutto? -
- Tutto. -
- Gli occhiali? -
- Quali? -
- Quelli da lettura. -
- No, quelli no... a che mi servono? -
- Dovrai pur leggere le istruzioni. -
- Bah... -
Amilcare scuote la testa, i grandi lobi sventolano e lo schiaffeggiano. Sono 40 anni che la moglie lo assilla, che non gli dà un briciolo di fiducia e che lo segue per ricordargli anche che deve andare a pisciare. 40 anni passati in salotto e all'acciaieria. E' stanco.
- Amilcare, di sacchetti ne hai presi abbastanza? -
- Si. -
- Amilcare? -
- Dimmi cara. -
Amilcare si sta vestendo, stringe la cintola molto sopra l'ombelico, si liscia la camicia e tira fuori i calzini neri dal terzo cassetto, quelli belli, quelli che aveva usato al matrimonio di sua figlia.
- Non avrai mica intenzione di conciarti in quel modo? -
- Perchè? cosa ho che non va? -
- Sembri un camorrista! -
- Un camorrista? ma se non sai nemmeno cosa sia un camorrista! -
- Un poco di buono, ecco. -
- Sono elegante. - , dice soddisfatto.
- Sembri uno di quelli che si mettono le ghette e poi ti chiedono il pizzo, sorridenti, cattivi, ecco chi sembri. -
Amilcare si spoglia, lancia la camicia sul letto, rimane in mutande. Accende la piccola televisione.
- Amilcare? Dicono che pioverà? -
- Pare. -
- Forse dovremmo rimanere a casa, tu non ci vedi bene quando piove -
- Ci vedo benissimo e poi, lo sai, ci aspettano. -
- E non possiamo telefonare? -
- No, non possiamo. -
- Come vuoi tu, però... -
Amilcare sente la moglie borbottare le solite lamentele e sparire ciabattando verso la cucina. Si accende una sigaretta. Una volta aveva provato a smettere: 10 giorni infernali, catarro, fame e lei che lo perseguitava. Una vita di amore folle, si meritava un pò di pace.
- Amilcare, vieni a mangiare un boccone? -
- No. -
- Come no! Se svieni? Ricordi cosa ha detto il dottore? -
Amilcare non risponde, crede nel suo silenzio, finge di non aver sentito. La conosce bene.
- Allora preparo dei sandwich - Ora è soddisfatta.
Amilcare appoggia 4 grandi borse sul pianerottolo, la moglie lo raggiunge, incastra con cura un ombrello tra l'impermeabile e l'ascella di lui.
- Non prenderai freddo? -
- Entro subito in macchina. -
- Ma dopo? -
- Dopo me lo metto. -
- Non è meglio metterlo ora? Dopo potresti dimenticarti. -
Amilcare srotola l'impermeabile, fa cadere l'ombrello e si veste. Guarda la moglie. Chiude a chiave la porta di casa e chiama l'ascensore.
- Amilcare, abbiamo preso tutto? -
- Si. -
- Hai chiuso i contatori. -
- Si. -
- Hai dato da mangiare al pesce? -
- No. -
- E se muore? -
- Staremo via pochi giorni. -
- Ma se muore? e se... -
La donna si porta le manine al petto, la bocca si stringe in una piccola smorfia di dolore.
- E se...moriamo noi? -
- Non dire sciocchezze! -
Amilcare le accarezza la schiena, come si fa con gli animaletti spaventati. Si carica come un somaro e la spinge in ascensore. Non è più forte come una volta.
Salgono in macchina, un micio dalle palle nere scende pigro dal cofano. La notte pare quieta.
- Amilcare, ho freddo. -
- Alza il riscaldamento. -
- Ho freddo lo stesso. -
- Non avere paura. -
- Ma la strada, la vedi bene la strada? E' così buio. - 
- E' dritta - 
- E se poi curva? - 
- Allora curverò! - 
- Sarà... -
La macchina avanza lentamente, borbotta nell'oscurità. Alcuni fulmini tagliano il cielo ed il temporale irrompe nell'aria. 
- L'ho io, l'ho messa al sicuro. -
- L'hai tu? L'avevo nascosta. -
- Seee come se tu fossi in grado di nascondere qualcosa... a me poi -
- Ma... -
- Te l'ho detto, è al sicuro. -
- Va bene.
Amilcare guida, concentrato. Si ferma ai semafori gialli, esita alle precedenze e guarda con insistenza lo specchietto. Non si sente più così perduto, così vecchio. Un sentimento nuovo lo conquista, un piccolo presagio, una storia di libertà. 
- Dovevi andare a destra. -
- Non potevo, non da qui. -
- Ma dovevi, come si fa ora? - 
- Cerco una rotonda. -
- Un rotonda? Ma non puoi girare in quel parcheggio? -
- No. -
- Amilcare? -
- No. -
- Amilcare, gira in quel parcheggio! -
Conosceva bene quel tono, anni prima lo aveva anche trovato divertente. In quel momento lo sentiva solo distante, lontano.  Era concentrato unicamente su quella ritrovata voglia di ribellione da cui stava, con lentezza, facendosi rapire. 
Amilcare accelera, sereno. La moglie urla, vorrebbe tenergli il volante. L'auto sbanda leggermente. La polizia se ne accorge. 
- Fai parlare me, hai capito Amilcare?
L'uomo non risponde. Qualcosa è fuggito via, insieme alla speranza. Si sente solo un anziano, un anziano in pensione e nulla più. Un pensiero concreto lo raggiunge quasi a schernirlo: l'immagine accogliente del suo divano e di quel micio dalle palle nere.
Un poliziotto grasso batte le nocche sul finestrino. Sotto la pioggia. Svogliato.
- E' tutto a posto? -
Amilcare annuisce.
- Abbiamo visto che stava andando fuori strada, si sente bene signore? -
- No. -
- Amilcare non dire sciocchezze al Maresciallo! Sta benissimo capitano. -
- Si sente bene signore? -
- E' solo un pò agitato, non siamo abituati a uscire la sera. -
- Dove state andando? -
- Da nessuna parte, ci è preso di fare un giretto tra innamorati -
- Favorite i documenti -
- I documenti? Mica abbiamo qualcosa da nascondere noi! -
- E' la prassi signora, mi dia i documenti. -
Amilcare allunga la patente all'agente ormai zuppo, senza dire niente. -
- Anche quelli di sua moglie, prego. -
Il poliziotto è stanco, maledice se stesso per aver fermato due vecchi rincoglioniti e sente freddo. Vuole finire il turno di notte ed andare a casa, al caldo.
- Se non mi vuole far controllare i documenti Signora, sarò costretto a portarla in centrale. -
La donna è aggrappata alla sua borsetta. Fa i capricci. Amilcare la osserva, disgustato, ritrova parte di quel coraggio che aveva lasciato marcire sotto strati e strati di faccende quotidiane e le strappa la pochette dalle mani. Una grande busta piena di polvere bianca cade a terra.
- E' farina...
- Stai zitta - dice schietto, rivolto alla moglie.
- Potremmo almeno, prima passare dal nostro pesce? - incalza lei - Sa, Amilcare non gli ha voluto dare la pappa, non mi ascolta mai. -

di Manuela Paric'





sabato 23 marzo 2013

Phab Dixit 2


Nel caos c'è la ricerca della perfezione. Dura tutta la vita la ricerca di una perfezione vera, e perdura poi un'attimo effimero. Poi un attimo di riflessione e tutto torna nel caos, ma un'altra vita non ce l'hai.


Un momento di silenzio ci vorrebbe. Ci vorrebbe anche un sonno senza fine, e la fine del sonno, e poi, per dio, si metta nei miei panni, e cerchi di capire che dentro di me non c'è più nulla! Dice bene, lei, che è là, sì. Ma cosa crede? Che sia qua a portare la verità assoluta?


Se l'ho portata, ho cancellato il luogo. E si ricordi anche ciò: tutta questa frase è falsa!

venerdì 22 marzo 2013

NUOVA RUBRICA: Phab Dixit

Una rubrica di parole che smettono di essere sparse casualmente nell'etere mentale e confluiscono in una confusione ordinata nero su bianco.


Phab Dixit 1

Se voi sapeste quanto è difficile, ogni giorno, alzarsi e cercare di salvare uno, cento, mille universi, senza nemmeno sapere quali di essi sia giusto salvare. E ogni sera scoprire che non solo non ce l'hai fatta, ma anche che non ne vogliono nemmeno sapere nulla, di esser salvati, che hanno impiegato tutta l'eternità per arrivare alla loro fine, e te chi sei per strappargli anche questa illusione della fine?

E qua nasce il problema, perché tu DEVI.

E' difficile. E' difficile.

E' difficile accettarlo. E' difficile vivere così.

E' difficile vivere. E le persone che ti hanno portato fin qua non potranno mai capirlo.

giovedì 21 marzo 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini-racconti 4


Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...

Titolo di giornale: Schiacciato tra due auto

...ed ecco un possibile raccontino a tema...

Era tutta la vita che si allenava, tutta la vita. Immaginava se stesso a due anni, muscolosissimo correre con il girello, sollevare le torri di mattoncini e sfuggire all'occhio severo di sua madre. Quando aveva 10 anni combatteva con i ragazzini più grandi, quelli delle medie e vinceva. "Il piccolo Ercole", così lo chiamavano fuori dagli spogliatoi del centro sportivo. <Piccolo Ercole riesci ad alzare la bicicletta con una mano?...Piccolo Ercole riesci ad aprire la porta con un solo dito? Piccolo Ercole chi vincerebbe tra te ed un robot?>. Gioie tra bambini, sciocche sfide.
Ma l'adolescenza, spesa quasi tutta in riformatorio, lo aveva abituato alle sfide vere, quelle che non conoscono compromessi, quelle che devono essere accettate, quelle che servono.
Il "Macchia", gli procurava i clienti ed i clienti gli procuravano soldi e rogne. Rubavano auto e lo facevano nell'unico modo che Piccolo Ercole conosceva: usando la forza. Sceglievano quelle parcheggiate agli angoli delle vie, arrivavano di notte, uno controllava la strada, abituato a mimetizzarsi tra le ombre nere come un camaleonte corvino; l'altro si sputava sui palmi delle mani, afferrava la carrozzeria e trascinava l'auto su un camioncino. A Piccolo Ercole bollivano le vene ogni volta e di certo ci sarebbe stato qualcuno disposto a pagarlo profumatamente per fargli fare le stesse cose davanti ad una telecamera, ciononostante lui non smetteva, anzi. A lui piaceva essere quello delle imprese impossibili, il super eroe tra i ladri, il gorilla buono tra gli amici.
Quando non faceva tali immani sforzi si godeva la gloria. Insieme a 4,5 perditempo buttava via quel che rimaneva del giorno in una piazzetta sporca di un paesello della provincia, Cavabocconi. Sui gradoni malmessi della chiesa compiva le sue prodezze: chiavi inglesi deformate tra i suoi bicipiti, gomme di camion fatte esplodere con qualche calcio ben piazzato, mattonelle rotte con la testa. <Grande piccolo Ercole...meraviglioso...magnifico piccolo Ercole...solo tu...> Viveva per quei momenti.
Un vago senso di eterno guidava oramai ogni sua decisione e assecondava ogni più ingenuo desiderio. Qualcuno mormorava di aver visto, tatuato sul petto di piccolo Ercole, uno scudo, rosso, infuocato. Stava diventando leggenda e ci sarebbe anche riuscito, se non fosse stato per quella mattina d'ottobre. Era al centro commerciale Bellegioie quando gli venne la grande idea, una idea folle nata tra le barrette energetiche e le proteine in polvere, amava quella roba da veri americani quasi quanto adorava i suoi muscoli. Era arrivato il momento della grande prova, aveva bisogno di rendere omaggio a se stesso: avrebbe fermato, con le sole braccia, due automobili, lanciate verso il suo corpo, senza paura. Una a destra ed una a sinistra, motori infernali potenti ed avidi di offrire un ultimo abbraccio mortale. Ce l'avrebbe fatta, ne era certo, era l'unico a potercela fare. Andarono a vederlo in molti, tutta Cavabocconi, anche i vigili.  Macchia si era offerto come pilota ed aveva anche scommesso un bel gruzzolo su quell'impresa. Il piccolo Ercole era a petto nudo, unto e pettinato sotto un cielo biancastro. Imponeva le mani lungo i fianchi, si sarebbe detto che, mosso dal vento, avesse potuto prendere il volo come quegli uomini in calzamaglia e mantello dei fumetti. Magari avesse potuto. Era morto così, convinto di averle fermate, schiacciato con l'aria di chi ha trionfato, inutilmente. Non per Macchia, certo.

di Manuela Paric'


Il Pittore - L'enigma delle scarpe rosse

"Il pittore usava tutto il suo corpo: sfumava le tempere con le dita, si avvicinava al quadro per poi allontanarsene velocemente, prendeva la rincorsa e spennellava qualcosa su un cielo grigio e sporco."



da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

martedì 19 marzo 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 3


Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...


TITOLO DI GIORNALE: Pezzo di gamba emerge da Arno nel Pisano

ed ecco il possibile mini-racconto

Un uomo sta passeggiando lungo le rive dell'Arno, sereno e beato, ha i pensieri tra le nuvole e le scarpe sulla terra. Il cielo è di un azzurro sporco, deve essere in arrivo un temporale ma l'aria, gelida, odora comunque di primavera. L'uomo ha il passo fluido e dei grandi guanti marroni. Sembra stare al caldo ed esser molto lontano dalle preoccupazioni, fischietta. Non ha un cane al suo fianco però non importa: guardandolo è facile immaginare una pelosa e fedele bestiola che gli riporta il bastone, respirando con la lingua e sbavando dalla felicità. E così si fa sera e l'uomo non si è ancora stancato. E' in piedi incontro al tramonto. L'acqua del fiume brilla ed il sapore della notte inizia ad attaccarsi alle labbra umide. Tira fuori un pacchetto dal giubbotto. Subito un corvo gli sfreccia accanto, senza agitarlo. L'uomo si guarda attorno, come per scacciare altri corvi e poi lancia il pacchetto tra la corrente. Si accende una sigaretta e torna a casa, dal figlio. 
- Lo hai fatto papà? -
- Si. -
- Mi spiace sai? -
- Lo so, ma la prossima volta devi stare più attento. -
- Farò meno pezzi. -
- No, bisogna fare sempre almeno 30 pezzi, è la regola. -
- Va bene. -
I due rimangono in silenzio, la pioggia batte sulle finestre ed una grande pentola borbotta sul fuoco.
- Dici che la troveranno? -
- Non ha importanza, manca tutto il resto. -
- Speriamo. -
- Ti ho detto che non ha importanza. -
Il figlio si alza, sposta con cura il portacenere dal tavolo, stende una tovaglia a fiori e con il viso che aveva sua madre, va a girare lo stufato.
- Sembra buono, dolce. -
Il padre gli sorride, gli vuole bene. 
- E' tutta roba fresca! -
- Già, ora si...che stupido son stato ad averne dimenticato un pezzo fuori dalla ghiacciaia.
- Ti ho detto di non preoccuparti. -
- Ma avrà lo stesso buon sapore di mamma? -
- Tesoro!!! Era solo una gamba!!! -
Nell'angolo più lontano una donna vestita di nero è legata ad una sedia ed ha paura.
- Non preoccuparti zia, ne abbiamo per settimane! La mamma era bella in carne. -

di Manuela Paric'

venerdì 15 marzo 2013

Il cattivo - L'enigma delle scarpe rosse

Così parla...

"<Quello che conosco è un mondo piccolo, un mondo fatto di sedie, tavolini, vie che si incrociano e che si somigliano. Quello che è fuori dalla mia finestra è ciò che esiste. A volte le vedo volare sai? Le rondini, han quella coda biforcuta che sembra una lingua di drago e si muovono con certezza tra le nubi. Gliela ho sempre invidiata quella certezza. Noi uomini, in fondo, siamo minuti. Tutti...>"


da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

Rubrica: dalla cronaca ai mini-racconti 2

Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...


Titolo di giornale: "Donna uccisa a Siena, arrestato 19enne."

Ed ecco un possibile raccontino a tema...


<Avrebbero potuto sbagliare tutti. Ve lo dico io. Proprio tutti! Non è che con questo io voglia lavarmene completamente le mani...però...insomma...nemmeno farne un dramma! Era buio, io non sono un esperto. Ho sempre preferito lo sport alle questioni di cuore. Sveglia alle sei e zero zero e correre...così mi aveva insegnato mio nonno, era stato nell'esercito lui. Così, sono abituato a fare: correre. Voi non siete mai stato preso dal panico? Non avete mai allungato la mano oltre il dovuto, solo per aggrapparvi meglio? Forse voi no...ma io, io sono ancora un bambino. La sera, prima di addormentarmi controllo ogni angolo della mia stanzetta, mi fa stare bene. Ho anche un cane, un buon, grosso, peloso spinone. Come può essere cattiva una persona che cura un animale tanto morbido? Se lo chieda, se lo chieda. Ammetterà che ci si è messa anche la sfortuna. Vede, il fatto è che mi stava piacendo e non ho prestato attenzione. Io...e lo considero un pregio, mi immergo nelle cose con passione, con rigore. Ho un ottimo curriculum! Se vuole glielo faccio avere. Ve lo ripeto, era tardi, non riuscivo nemmeno a vederlo quel collo nero come l'orizzonte. Ed ho stretto, ho stretto dal desiderio, Vostro Onore...ma potete farmene una colpa? Potete, in tutta onestà, farmene una colpa?>

di Manuela Paric'

Laura: L'enigma delle scarpe rosse

"Era così. Morbida ed emotiva, con le idee incise sulla pelle, strabordante di parole sue e senza alcun controllo. Magnifica."


da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

giovedì 14 marzo 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini-racconti 1

Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...


Titolo giornale: "Due anziani trovati morti" 

Ed ecco per voi un possibile rapidissimo racconto:


Erano 3 mesi che aveva i piedi gonfi...gonfi come zampogne, avrebbe potuto chinarsi e suonare i suoi alluci. Che schifo, la vecchiaia la stava divorando come fanno i batteri mangia carne, non ci poteva fare niente, era già da 90 anni che sopravviveva. E poi, come se non bastasse doversi mettere il pannolone, come se non fosse sufficiente non ricordare il nome del proprio nipote, come se gli ultimi mesi fossero stati clementi con le sue ossa...lei...doveva cucinare per lui: preparargli la solita zuppa di fave. Odiava quella verdastra zuppa di fave, sembrava fatta di cimici e aglio. La gola le divenne secca al sol pensiero. Lui stava ancora dormendo, la bocca incollata al cuscino, quei pochi capelli che gli si appiccicavano alle tempie ed un sorriso. Che mai c'aveva da sorridere! Non ricordava nemmeno cosa volesse dire amarlo. Come fosse essere felice di ritrovarselo accanto, sperare nel tocco della sua mano sul suo corpo...no, non lo ricordava. Riusciva solo a pensare a quella melmosa zuppa di fave. Non la avrebbe più cucinata, mai più, si disse. Chiuse il tappo rosso e attese l'ora di cena. Con pazienza.  Lui faceva rumore mangiando ed il rumore durava a lungo: masticava lentamente, beveva con calma, si appoggiava allo schienale della sedia e dondolava dopo ogni boccone. Lei provava sempre a non guardarlo, ma non quel giorno. Quel giorno osservava le dita ingiallite impugnare il cucchiaio ed affondarlo nella zuppa, avidamente. Ne seguiva il tremolio fino alle labbra e con disgusto attendeva che il gozzo scattasse apprezzando definitivamente il cibo. Lui spezzava il pane, raccoglieva con l'indice umido le briciole e respirava con un certo affanno. Anche lei incominciava a sentirsi stanca. 
- Andiamo a dormire? 
Camminavano vicino, strisciando i talloni, appoggiandosi l'uno alle spalle dell'altro. Abbandonarono le pantofole dallo stesso lato del letto e lui, ancora felice, aggiustando la coperta di lana la guardò con occhi lucidi e ragazzini. 
- Ti amo. 
Lei lo abbracciò, per un'ultima volta.


di Manuela Paric'





Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti

Inauguriamo oggi una nuova rubrica.  
Partendo dal titolo di un articolo di cronaca nera verranno creati dei mini racconti noir. 
Un massimo di 1800 battute per far viaggiare la fantasia e portarla verso la soluzione di un enigma. Non importa come sono andati realmente i fatti, ma che questi siano stati fonte di ispirazione. 
Chiunque volesse partecipare si senta libero di farlo!!!

Iniziamo con il titolo:  "Due anziani trovati morti



... a breve...nel prossimo post...


Teodora - L'enigma delle scarpe rosse

"... i capelli cotonati e rossi, i larghi abiti a fiori, un rossetto troppo acceso per la sua età e quelle strane idee sui presagi, che poco avevano a che fare con la solida realtà che il Signor Mocha tanto ricercava..."


(da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011


sabato 9 marzo 2013

INCIPIT Vita facile ha un carburatore


Può accadere, a volte, che la vita abbia bisogno di una pausa. Non sempre si è in grado di reggere il suo modo di esser vita, il suo modo di esser vera, e allo stesso modo, il suo modo di prestar finzione.

Questo perché, prima, qualcosa l'aveva portata allo stremo. Come questo accada, spesso, non è nemmeno importante. Semplicemente, le cose prendono, lentamente, a raggiungere un ritmo talmente frenetico da non esser più umanamente sopportabile, senza neppure che ce se ne possa render conto. Una rana che nuota in una pentola d'acqua che bolle continuerà a nuotar felice fino a che non sarà troppo tardi...e ugualmente capita alle persone.


Fino a che non sarà troppo tardi. Perché c'è sempre una certa calma che precede la tempesta.

(da "Vita facile ha un carburatore" di Fabio Phab Postini ©2012-©1998)

venerdì 8 marzo 2013

INCIPIT: L'enigma delle scarpe rosse

"Il rumore dei suoi passi sui Sanpietrini era l'unica cosa che la teneva sveglia. La strada sembrava il lungo e silenzioso corridoio di un museo. Dalle vetrine dei negozi, leggermente illuminate, si intravedevano manichini, vestaglie ed avanzi di pane. Tutto si trasformava e dei colori della moda rimanevano solo feticci, tetre opere d'arte. I palazzi antichi si chiudevano su di lei ed i contorni della città sembravano farsi sempre più morbidi. Si era divertita, al mattino lo avrebbe raccontato a Laura e...Laura, come era solita fare, le avrebbe sorriso tenendosi la bocca con due dita e facendo diventare i suoi occhi ancora più grandi."

da "L'enigma delle scarpe rosse" di Manuela Paric'  ©2013-©2011

L'inizio



L'enigma delle scarpe rosse

Un racconto lungo a capitoli brevi.

“L’enigma delle scarpe rosse” è un racconto lungo, un breve giallo nato per caso.  Un piccolo libretto d'appendice germogliato all'interno di un piedino pubblicitario di un quotidiano di provincia. Le possibilità di intervento andavano dalle 1200 alle 3000 battute a capitoletto. E’ stato un esperimento, una sfida...ma l'idea di sviluppare un intreccio avendo così tanti vincoli mi ha allettato….ed eccolo qua. La storia se pur classica trova la sua originalità, oltre che nella sintesi, anche nelle modalità con cui viene trattato il fatto delittuoso: nessuno è in allarme, non vi è traccia di polizia e non è possibile effettuare le indagini in modo canonico. Il racconto seppur auto-conclusivo è da considerarsi un prologo ad una serie di altri libri più corposi e strutturati. (Mi sono fatta prendere!) Ritroveremo perciò gli stessi protagonisti all'interno di nuovi misteri. 

Il prossimo titolo sarà: L’enigma delle anime perdute.