Titolo di giornale: Donna morta a Milano, fermato il figlio.
ed ecco il possibile mini racconto...
Sembravano lucciole, piccole scintille, messaggi infuocati
sul marmo rosso.
Il sole strisciava lungo la colonna, oltre il divano e si
arrampicava sull'ultimo muro per poi allargarsi, tiepido, sul pavimento, accanto
a me, come fanno le ombre, anche.
Non l'avevo mai osservata da quella altezza la casa, la mia
casa, mi pare chiaro. C'era qualcosa di molto simile alla felicità nel modo in
cui ogni oggetto accoglieva la luce. Le carte, i cuscini, gli spigoli dei
mobili, la polvere...ogni cosa era al suo posto, immobile, perfetta, in attesa.
E la felicità stava tutta lì, in quel silenzio composto. Perfino il bufalo di
legno nero, quello arrivato dall'Africa, ed ora senza un corno, aveva trovato
il suo spazio, il riparo perfetto, il posto giusto da cui ripartire, uno
zoccolo alla volta.
Io me la godevo tutta quella felicità; immaginavo anni di
vita eccellente, di piccoli gesti, di libri letti sotto il plaid nelle serate
di inverno e di chiacchiere tra donne sudate, nelle calde domeniche d'estate,
bevendo limonata. Era tutto lì, tutto lì. La sentivo nascere
quell'esistenza e perciò me la godevo proprio quella felicità, in fretta, prima
che arrivassero a misurare, a fotografare, a teorizzare.
Ero stata fortunata, non sempre i luoghi si manifestano in
modo così chiaro e sereno.
Ricordavo la stanza di mia nonna, il primo giorno dalla sua
assenza, non aveva nulla di vero. Il mondo si era appoggiato, fluttuava,
tristemente, in uno spazio ormai diventato estraneo. Il toupet di una vita.
Chissà cosa avrebbe pensato nonna, vedendomi stesa a terra, con gli occhi
sgranati e beati. Mi avrebbe detto che avevo combinato proprio un gran
pasticcio e che le macchie non sarebbero andate via facilmente. Si sarebbe
spettinata, forse, con quelle dita cicciotte e poi, senza indugi, avrebbe
pianto. C'eravamo sempre amate molto. Avevo amato molto anche mio figlio, ogni
momento. Da bimbo mi aveva fatto disperare, intere notti insonni e pannolini, e
cacche e pianti. Era, tutto sommato, diventato un giovane responsabile, avido,
ma con la testa sulle spalle. Io di soldi non ne avevo molti ma, mi pareva, abbastanza.
Penso sempre che, se non avesse conosciuto quella sgualdrina cresciuta nel
profumo, io e lui ci saremmo intesi meglio. Parlare è importante e noi, da
oltre due anni, urlavamo e basta. Poi era morto lo zio, non che ce ne
importasse molto, lo vedevamo solo per Pasqua, ma ci aveva lasciato in eredità
più denaro di quello che eravamo abituati a spendere. Una disgrazia. Pietro,
aizzato dalla stronza, sicuramente, lo
voleva, lo chiedeva, lo pretendeva, tutto. Ed ogni giorno litigavamo, per un
assegno e quattro centesimi. Fino a ieri. Ieri è stato dolce, mi ha baciato
prima di colpirmi in testa. Non me ne sono nemmeno accorta, mi è dispiaciuto di
più per il toro, un toro senza corna non è niente. Io invece ho la mia casa ed
un milione di stelle che brillano. Il mio sangue è meraviglioso trafitto dal
sole.
di Manuela Paric'
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