giovedì 28 marzo 2013

Altri racconti di altri: Il vicino sul treno #2 di Paolo Marcotti

Quando salgo Antonio è già lì, al suo posto.
L’idea che trasmette è proprio questa. Quello lì è il suo posto, non potrebbe essere seduto in nessun altro posto del treno, e ci sta seduto come se fosse una sedia di casa sua. 
Non l’ho mai visto prima, ma nessun dubbio sul fatto che si chiami Antonio, non ho ancora fatto in tempo a entrare fisicamente tutto intero nella carrozza che mi sembra di essere colpito da una sberla, una rivelazione violenta, che mi spiega che è così, senza discussioni. 
In tutta onestà, Antonio ha lineamenti ai confini dell’Italia mediterranea. Anzi, ad un’analisi razionale, è quasi certamente nordafricano, il che impedirebbe che si chiami Antonio. O forse no, ci sarà pure un equivalente arabo, in fondo sant’Antonio era egiziano.
Posata a terra, a fianco del sedile, una sporta di plastica. Piena di quei giornaletti pubblicitari con le offerte di ogni sorta di iperluogo che ostinatamente affollano le cassette della posta. Sono decine, e non sono tutti uguali. Sono tutti diversi. Antonio non è un distributore, è un raccoglitore. Accarezzo addirittura l’ipotesi del collezionista, ma non è così: nel rapporto tra Antonio e i volantini non c’è ardore, né rito, né religione. 
Li estrae, uno alla volta, dopo aver riposto il precedente, e li sfoglia con lentezza e rispetto, senza spiegazzarli. Il ritmo è costante, anche se su qualche pagina si sofferma più a lungo. Spesso parte dal fondo. Non è interessato al contenuto, non è a caccia di offerte. Si direbbe che il suo interesse, o sarebbe meglio dire la sua necessità, stia nello sfogliare. 
D’un tratto, comprendo. Antonio è saggio. Antonio assegna allo spostamento ferroviario un ruolo fisiologico e necessario al protrarsi della vita. Come una gallina che cova l’uovo, Antonio in maglione viola cova il suo stesso spostamento. Non c’è nessun bisogno, né per essere se stessi, né per vivere meglio o per essere felici, di appollaiarsi su quell’uovo e quella paglia o su quel sedile blu. Però, va fatto. Però, una volta trascorso il tempo necessario in quell’inutile, fisiologica e vitale posizione, il guscio si spezza, la porta si apre, la vita esce dallo stand-by e riparte.
I volantini non sono che un innocente e poco impegnativo soccorso nella forzosa immobilità. 
Del resto, è piuttosto comune disimpegnarsi sfogliando o leggiucchiando qualcosa… proprio lì, quando è la necessità a costringerci… insomma, ci siamo capiti.

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