martedì 1 luglio 2014

Estratto da "Vita facile ha un carburatore" di Fabio Postini.


VITA FACILE HA UN CARBURATORE




(...)

Nonostante questo, solo il pensare che qualcosa, anche una sola, singola cosa, potesse prendere un verso giusto e funzionare, lo faceva sentire più forte. Non tanto da percepire il futuro come suo, ma abbastanza da convincersi che il suo presente non apparteneva solo alla società. Che l'aveva rifiutato.
E che forse, se lui poteva rimettere in moto un rottame di tre quarti di secolo, poteva fare lo stesso anche con se medesimo, che di quarti ne aveva solo uno. Erano pensieri difficili? Sì, forse sì, ma servivano.
E ora decise che ci sarebbe stata bene una bella doccia calda. Prese la sua sacca, raggranellò una manciata di spiccioli e vide che ci stava sia un giro di bucato che un giro per lui. Mise la sacca in spalla e percorse i dieci chilometri che lo separavano dal primo bagno pubblico.

Qui, tirò fuori l'asciugamano e il sapone, si slacciò i pantaloni e gli anfibi, infilò l'impermeabile, la pistola e il maglione nella sacca per fare prima, e poi infilò le monete nell'apposita fessura, che da quel momento apriva la porta e gli garantiva i suoi 15 minuti di dolce tepore. Si infilò in fretta all'interno dello scomparto e lanciò asciugamano, sacca, scarpe e pantaloni verso il muro, e il sapone nella doccia. L'acqua stava già scorrendo, quindi si concesse solo qualche altro secondo per sfilarsi la biancheria e poi si fiondò come un lampo sotto il getto. Un istante di silenzio, e si scioglieva. Gli sembrava di rinascere in quel momento, e pensava a quanto una piccola cosa come quella potesse aiutarlo a tornare a pensieri piacevoli.

Era bello. Era INCREDIBILMENTE bello.
Ogni volta pensava che se mai un giorno fosse tornato a stare bene, nel senso economico del termine, non avrebbe mai dimenticato com'è non avere nulla, e come quando non hai nulla una piccola cosa ti sembra tutto, fintanto che ce l'hai. La vita ha un altro tipo di sapore quando non hai più nulla.
Che poi lui non era mica vero che non aveva nulla. Nella sua povertà, si sentiva ricchissimo. Aveva in fin dei conti diversi ricambi di guardaroba, aveva il necessario per prendersi cura di se stesso, aveva cibo, in qualche modo aveva anche la possibilità di non stare sotto un ponte, la notte (fino a che gli avessero permesso di lasciare lì il vecchio rottame...se poi fosse riuscito a rimetterlo in moto e muoverlo, bhe, accidenti, allora sì che si sarebbe sentito davvero invincibile. E poi adesso aveva il locale attiguo a quello dove stava costruendo le nuove mura. Se non avesse combinato casini avrebbe avuto un tetto per almeno un paio di mesi). E aveva persino un'arma, con la quale poteva accertarsi che non gli portassero via l'enorme tesoro che possedeva.

No, non era povero. Era una delle persone più ricche del mondo. 'Fanculo, Jonathan Max, tu e i tuoi soldi, le tue holding, le tue multinazionali. Chi sei? Non sarai mai ricco come lo era lui.
Stava già pensando che suo era il regno dei cieli, quando l'acqua si interruppe. E con essa si interruppero anche i suoi pensieri di ricchezza. Un leggero senso di realtà lo investì, ma lo cacciò via con un sorriso: aveva davvero tutto quello che aveva detto, e non gli serviva niente di più. Tranne, magari, un amico. O una compagna. Qualcuno di cui potesse fidarsi, insomma.
La seconda categoria corrispondeva a quello di cui aveva bisogno? Se lo chiese mentre le ultime gocce ancora puntellavano sul suo cranio. Stava fermo, non usciva, continuava a godersi fino all'ultimo istante di vapore che i suoi pochi spiccioli avevano comprato. Le dita dei piedi stavano già raffreddandosi, e lui pensò che forse neppure la prima categoria corrispondeva a quello di cui aveva bisogno.
Di chi ci si può fidare a questo mondo?

Uscì dalla cabina della doccia, e si avvolse l'asciugamano attorno alla testa. Strofinò a fondo, perché non poteva permettersi un'altra moneta per accedere al phon. Solo quando i capelli furono completamente asciutti, passò al resto del corpo. Il vapore se n'era ormai quasi andato del tutto, ed era ora di rivestirsi. Tirò fuori dalla sacca un ricambio completo pulito, e passò la cintura dai jeans che aveva prima a questi. Si diede una spazzolata, cacciò tutta la sua roba nella sacca, reinfilò l'impermeabile ed uscì.
Al lavandino si lavò i denti e si fece la barba. L'aspetto di un uomo è importante. Come appare fuori, è come si sente dentro. E non avrebbe mai voluto che qualcuno pensasse che dentro di lui regnava il disordine. Perché era vero: c'era il caos, dentro di lui. Ma con esso, v'era anche un infinito desiderio di rimettervi pace, di dargli un senso, di rendergli giustizia.
Non l'aveva fatto lui, quel caos. O almeno, così credeva. Ma di certo non era pronto a tirarsi indietro sul ricostruire. Una vita, come un motore, come un muro.
Costruire rende l'uomo nobile, e l'anima libera.
Si allacciò infine gli anfibi, e si diresse verso la lavanderia.

Lavò solo quello che era nella sacca, tenendosi i vestiti che aveva appena indossato. Alla fine ci avrebbe rimesso qualcosa, ma che cavolo! Questo era un giorno di festa, e avrebbe festeggiato fino in fondo. E non gelare era un bel modo di festeggiare. Anzi, al momento dell'asciugatura si addossò con tutto il corpo all'oblò, che lo avrebbe soddisfatto almeno fino a che non avesse finito il ciclo. Nel frattempo, approfittando del fatto che a quell'ora nessuno potesse vederlo, aveva attaccato il cellulare ad una delle prese libere dei distributori. Per la verità il cellulare stava spento per la maggior parte del tempo, ché tanto difficilmente qualcuno lo avrebbe cercato. E in fondo era meglio così: le prese di corrente non erano così facili da trovare.

Si rese conto che anche per questo il motore funzionante sarebbe stato un bene: l'accendisigari gli avrebbe permesso di avere un mezzo in più per reinserirsi nella società. Certo, ci sarebbe stato bisogno di spendere qualcosa di extra per comprare un nuovo caricabatterie, ma ne valeva la pena. Avrebbe fatto a meno delle sigarette per un po', se fosse servito anche del cibo, per una settimana o due. Tutto, pur di fare un passo in più verso il suo reinserimento nella vita di tutti i giorni. Sì, il motore gli serviva. Gli serviva davvero. E la cosa che lo faceva stare veramente bene era il fatto che si trattasse di una necessità accessibile, realizzabile.

Ancora poco. Ancora poco.

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