Macerie in ospedale,
pezzi di gambe, di dita, di cuore.
Arti che non vedrò mai crescere
e occhi neri, obliqui, lontani.
Così ho scordato di te.
Balia e badante dei nostri affetti.
Manuela Paric’ - 2014
mercoledì 2 luglio 2014
martedì 1 luglio 2014
Estratto da "Vita facile ha un carburatore" di Fabio Postini.
VITA FACILE HA UN CARBURATORE
(...)
Nonostante
questo, solo il pensare che qualcosa, anche una sola, singola cosa,
potesse prendere un verso giusto e funzionare, lo faceva sentire più
forte. Non tanto da percepire il futuro come suo, ma abbastanza da
convincersi che il suo presente non apparteneva solo alla società.
Che l'aveva rifiutato.
E
che forse, se lui poteva rimettere in moto un rottame di tre quarti
di secolo, poteva fare lo stesso anche con se medesimo, che di quarti
ne aveva solo uno. Erano pensieri difficili? Sì, forse sì, ma
servivano.
E
ora decise che ci sarebbe stata bene una bella doccia calda. Prese la
sua sacca, raggranellò una manciata di spiccioli e vide che ci stava
sia un giro di bucato che un giro per lui. Mise la sacca in spalla e
percorse i dieci chilometri che lo separavano dal primo bagno
pubblico.
Qui, tirò fuori l'asciugamano e il sapone, si slacciò i pantaloni e gli anfibi, infilò l'impermeabile, la pistola e il maglione nella sacca per fare prima, e poi infilò le monete nell'apposita fessura, che da quel momento apriva la porta e gli garantiva i suoi 15 minuti di dolce tepore. Si infilò in fretta all'interno dello scomparto e lanciò asciugamano, sacca, scarpe e pantaloni verso il muro, e il sapone nella doccia. L'acqua stava già scorrendo, quindi si concesse solo qualche altro secondo per sfilarsi la biancheria e poi si fiondò come un lampo sotto il getto. Un istante di silenzio, e si scioglieva. Gli sembrava di rinascere in quel momento, e pensava a quanto una piccola cosa come quella potesse aiutarlo a tornare a pensieri piacevoli.
Era bello. Era INCREDIBILMENTE bello.
Ogni
volta pensava che se mai un giorno fosse tornato a stare bene, nel
senso economico del termine, non avrebbe mai dimenticato com'è non
avere nulla, e come quando non hai nulla una piccola cosa ti sembra
tutto, fintanto che ce l'hai. La vita ha un altro tipo di sapore
quando non hai più nulla.
Che
poi lui non era mica vero che non aveva nulla. Nella sua povertà, si
sentiva ricchissimo. Aveva in fin dei conti diversi ricambi di
guardaroba, aveva il necessario per prendersi cura di se stesso,
aveva cibo, in qualche modo aveva anche la possibilità di non stare
sotto un ponte, la notte (fino a che gli avessero permesso di
lasciare lì il vecchio rottame...se poi fosse riuscito a rimetterlo
in moto e muoverlo, bhe, accidenti, allora sì che si sarebbe sentito
davvero invincibile. E poi adesso aveva il locale attiguo a quello
dove stava costruendo le nuove mura. Se non avesse combinato casini
avrebbe avuto un tetto per almeno un paio di mesi). E aveva persino
un'arma, con la quale poteva accertarsi che non gli portassero via
l'enorme tesoro che possedeva.
No,
non era povero. Era una delle persone più ricche del mondo.
'Fanculo, Jonathan Max, tu e i tuoi soldi, le tue holding, le tue
multinazionali. Chi sei? Non sarai mai ricco come lo era lui.
Stava
già pensando che suo era il regno dei cieli, quando l'acqua si
interruppe. E con essa si interruppero anche i suoi pensieri di
ricchezza. Un leggero senso di realtà lo investì, ma lo cacciò via
con un sorriso: aveva davvero tutto quello che aveva detto, e non gli
serviva niente di più. Tranne, magari, un amico. O una compagna.
Qualcuno di cui potesse fidarsi, insomma.
La
seconda categoria corrispondeva a quello di cui aveva bisogno? Se lo
chiese mentre le ultime gocce ancora puntellavano sul suo cranio.
Stava fermo, non usciva, continuava a godersi fino all'ultimo istante
di vapore che i suoi pochi spiccioli avevano comprato. Le dita dei
piedi stavano già raffreddandosi, e lui pensò che forse neppure la
prima categoria corrispondeva a quello di cui aveva bisogno.
Di
chi ci si può fidare a questo mondo?
Uscì dalla cabina della doccia, e si avvolse l'asciugamano attorno alla testa. Strofinò a fondo, perché non poteva permettersi un'altra moneta per accedere al phon. Solo quando i capelli furono completamente asciutti, passò al resto del corpo. Il vapore se n'era ormai quasi andato del tutto, ed era ora di rivestirsi. Tirò fuori dalla sacca un ricambio completo pulito, e passò la cintura dai jeans che aveva prima a questi. Si diede una spazzolata, cacciò tutta la sua roba nella sacca, reinfilò l'impermeabile ed uscì.
Al
lavandino si lavò i denti e si fece la barba. L'aspetto di un uomo è
importante. Come appare fuori, è come si sente dentro. E non avrebbe
mai voluto che qualcuno pensasse che dentro di lui regnava il
disordine. Perché era vero: c'era il caos, dentro di lui. Ma con
esso, v'era anche un infinito desiderio di rimettervi pace, di dargli
un senso, di rendergli giustizia.
Non
l'aveva fatto lui, quel caos. O almeno, così credeva. Ma di certo
non era pronto a tirarsi indietro sul ricostruire. Una vita, come un
motore, come un muro.
Costruire
rende l'uomo nobile, e l'anima libera.
Si
allacciò infine gli anfibi, e si diresse verso la lavanderia.
Lavò solo quello che era nella sacca, tenendosi i vestiti che aveva appena indossato. Alla fine ci avrebbe rimesso qualcosa, ma che cavolo! Questo era un giorno di festa, e avrebbe festeggiato fino in fondo. E non gelare era un bel modo di festeggiare. Anzi, al momento dell'asciugatura si addossò con tutto il corpo all'oblò, che lo avrebbe soddisfatto almeno fino a che non avesse finito il ciclo. Nel frattempo, approfittando del fatto che a quell'ora nessuno potesse vederlo, aveva attaccato il cellulare ad una delle prese libere dei distributori. Per la verità il cellulare stava spento per la maggior parte del tempo, ché tanto difficilmente qualcuno lo avrebbe cercato. E in fondo era meglio così: le prese di corrente non erano così facili da trovare.
Si rese conto che anche per questo il motore funzionante sarebbe stato un bene: l'accendisigari gli avrebbe permesso di avere un mezzo in più per reinserirsi nella società. Certo, ci sarebbe stato bisogno di spendere qualcosa di extra per comprare un nuovo caricabatterie, ma ne valeva la pena. Avrebbe fatto a meno delle sigarette per un po', se fosse servito anche del cibo, per una settimana o due. Tutto, pur di fare un passo in più verso il suo reinserimento nella vita di tutti i giorni. Sì, il motore gli serviva. Gli serviva davvero. E la cosa che lo faceva stare veramente bene era il fatto che si trattasse di una necessità accessibile, realizzabile.
Ancora
poco. Ancora poco.
giovedì 19 giugno 2014
Pubblicità DeCesso V.1: Pronta la versione cartacea de "L'enigma delle anime perdute"
Puntualmente mi dicono: "Pubblicizzati! Spargi il tuo verbo nella rete. Impesta internet con il tuo libro e con la tua presenza. Crea movimento. Diventa il giornalista di te stesso. Pubblica un post al giorno sul blog. Progetta un video per youtube a settimana... INSOMMA PUBBLICIZZATI!"
Sarebbe giusto (in parte), lo so. Ma fatico. La giornata si vaporizza tra lavoro, telefonate di lavoro, giochi con mia figlia, capricci di mia figlia, capricci miei, pelo di gatto e sonno, tanto sonno. C'è poi la spinosa questione del volersi pubblicizzare. Ho sviluppato nei confronti della vendita (porta a porta, all'ingrosso o in ambiente chic) una timidezza primordiale, un senso del pudico e del buon gusto che pare attingere ai tempi di Jane Austen ed è sadicamente supportato dal desiderio di rimanere borderline all'interno del sistema. Sono una fallita.
Insomma, tutto questo discorso per comunicare l'uscita del cartaceo:
"L'enigma delle anime perdute" con incluso il prologo sperimentale "L'enigma delle scarpe rosse" è ora disponibile in versione cartacea/copertina flessibile su Amazon a 8,24 euro.
"L'enigma delle anime perdute" con incluso il prologo sperimentale "L'enigma delle scarpe rosse" è ora disponibile in versione cartacea/copertina flessibile su Amazon a 8,24 euro.
martedì 17 giugno 2014
Download: le prime 40 pagine de "L'enigma delle anime perdute"
In attesa del cartaceo (arrivaaaaa, vedi foto) ho creato un pdf con le prime 40 pagine de "L'enigma delle anime perdute" (i primi 9 capitoli su 32, lo confesso, sono i più brevi e...introduttivi!).
Disponibile QUI (DOWNLOAD)
Ne approfitto per segnalare anche due recensioni che mi hanno fatto gongolare come se non ci fosse un domani e io fossi tornata ventenne.
http://at67.blogspot.it/2014/06/lenigma-delle-anime-perdute-manuela.html
http://www.leggereonline.com/recensioni/508-l-enigma-delle-anime-perdute.html
Manu
mercoledì 9 aprile 2014
Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 21
Titolo di cronaca: "Assassino riconosciuto dai passanti."
Questo il mini racconto ispirato: Il naso.
Nel dettaglio, entra nel dettaglio. Ricorda, seziona, smembra. La luce al neon è fastidiosa, troppo bianca. Si appoggia priva di spessore sulla scrivania e sui muri e li nasconde. Cela tutto, ma non me. Mi illumina il naso: è grosso. Ho sempre odiato il mio naso, mi precedeva e mi identificava lasciando in disparte ogni altra qualità. "Arriva l'elefante", dicevano. "Come farà a baciare una donna", ridacchiavano. "Lo avrà grosso anche nelle mutande?", spettegolavano.
Vedo l'ombra del mio naso sul tavolo in formica, è lunghissima, mi ricorda una spada. Potrei girarmi di scatto, muovere il collo selvaggiamente e affettare l'avvocato, per poi trafiggerlo e infilzarlo come un polletto su uno spiedo. Ho un naso aggressivo.
- Non sono stato io.
Barrisco.
- L'hanno riconosciuta, non credo...possano esserci dubbi, nel suo caso.
L'agente tiene la testa bassa incapace di fissarmi negli occhi.
Mostro, pensa.
Ed ecco che il mio naso mi ha fregato ancora una volta. Sono un assassino. Mi aggiro nella notte con un mantello da Cyrano e predico odio e amore e uccido per colpa dell'uno e dell'altro. Questo credono.
Ero un bravo bambino: non dissentivo, non urlavo e trattenevo la pipì quando mia madre mi portava in giro di negozio in negozio il sabato pomeriggio. Già da piccolo avevo coscienza della mia diversità e tentavo di pareggiare il conto con le buone azioni. Peccato che le vecchiette ritirassero la loro mano rugosa quando mi guardavano bene in faccia e che gli insegnati non capissero la differenza tra una battuta sagace e una presa per i fondelli. Colpa della mia voce screziata, ruvida, nasale.
I miei genitori non mi facevano mai rispondere al telefono e metà degli amici di famiglia pensavano fossi muto, i rimanenti mi credevano demente. Tra un raffreddore, una umiliazione e un pianto sono cresciuto e ho trovato il mio posto nel mondo. L'unico posto, probabilmente. Sono una testa da test: annuso i campioni di profumi, deodoranti, creme, lettiere ed esprimo un parere insindacabile. L'odore del mondo dipende dalle mie narici. L'aroma dell'umanità segue i miei vizi. Sono soddisfatto.
Ho un naso importante, responsabile.
Certo a volte è un impiccio avere un arnese tanto sensibile, soprattutto in città. Ci sono afrori che me lo violentano, olezzi che mi entrano nel cervello e mi cambiano l'umore.
- Si concentri.
Esplode il poliziotto.
- Era o non era nei pressi di Vicolo Frogia ieri notte verso le ore 2.45?
- Non ricordo.
- Non ricorda? È malato? Ha sbattuto la testa, forse?
- In un certo senso signore, non rammento, lo giuro. È colpa del naso.
Me lo tocco, mi rassicura.
- Ci sono fragranze che mi stordiscono e mi annebbiano la mente, insomma...svengo.
- Capisco
Il commissario si alza, mi dà le spalle. È un uomo alto e grasso e pende a destra. Ha gli abiti stropicciati e un tanfo disgustoso di colonia e sudore. C'è caldo sotto questa bianchissima luce al neon.
- Non dica altro.
Mi sussurra l'avvocato prima d'uscire dalla stanza.
Io rimango seduto. Goccioline rotonde navigano sulla mia fronte e cercano la libertà scivolando veloci sulle mie appendici e schiantandosi a terra.
Quasi mi ipnotizzano.
Dove ero ieri notte? Camminavo, mi sembra. Lo faccio a volte, inseguo le scie dei miei ragionamenti come un segugio. Un marciapiedi, una lampada rossa, delle gambe di donna, un bambino che ride. Nient'altro ritorna alla mia memoria. Niente di sanguinolento o feroce.
L'essenza della morte è pungente e corposa, sconvolge i miei sensi e li immobilizza. Un odore dolciastro che mi dà immediatamente la nausea. Non posso essere un assassino, ne morirei.
- Le piacciono i ragazzini?
- Non capisco la domanda.
Il poliziotto l'ha tirata fuori dal cilindro e me l'ha sbattuta in faccia aggressiva e soffice come un coniglio mannaro.
- Frequenta uomini più giovani, molto più giovani?
- Ho degli amici, solo amici.
- Ahhhh, ha degli "amici".
Il commissario spalanca le manone sul tavolo, appoggiandosi. Fa tremolare i baffi e mi osserva dall'alto in basso. Ride di me.
- E cosa fa con questi amici?
Ho fiuto per le trappole, non so cosa rispondere.
- Quello che fanno tutti: usciamo, mangiamo, beviamo, andiamo alle feste.
- O festini? Le piace travestirsi?
Decido di rimanere in silenzio. Respiro affannosamente e la saletta diventa ancora più calda.
Nel dettaglio, entra nel dettaglio. Ricorda, seziona, smembra. Rammenta.
L'aria densa mi invade le narici e mi rosola il cervello. Abbrustolisce frammenti di vissuto e parti delle mie esperienze ritornano.
Ero con Piero nel vicolo. Piero è bellissimo e mi fa divertire. A lui piace il mio naso, ogni tanto glielo faccio toccare. "Non sembra vero.", dice. Avevamo bevuto ma non abbastanza per perderci. Piero aveva in mano una corda e una sacca.
"A cosa ti servono", chiesi.
"Vedrai."
Ero eccitato, mi piace giocare.
Non così però.
Piero mi conosce bene. Sa che le lunghe attese frenano il mio imbarazzo e alimentano il mio piacere.
All'improvviso siamo stati avvolti dal profumo di cannella e zucchero filato. Buonissimo. Un giovanotto sui 13 anni era uscito da una porticina laterale. Teneva un pallone sotto il braccio, aveva labbra grandi e qualche briciola sulle guance. "Torta di mele", l'avevo riconosciuta. Io lo salutai, Piero fece il resto.
Schiacciato contro il muro, con il pantaloni abbassati e le lacrime il ragazzino implorava Piero, chiedeva clemenza. Il mio amico era un fascio di muscoli e desiderio. L'odore di piscio e di paura mi teneva distante. Volevo salvarli entrambi. Lo volevo. Ne sono convinto. Il piccolo allungava le braccia verso di me, quasi a volersi aggrappare a qualcosa, al mio naso suppongo. Non feci nulla se non respirare a grandi bocconi, appoggiarmi a un palo e perdere i sensi. Mi sono svegliato nel mio letto con la faccia incastrata nel cuscino e un sapore metallico in bocca. Ora sono qua.
- Aveva appena fatto merenda.
Il commissario mi ascolta, ha la decenza di non porre altre domande.
- Non ero io a spaventarlo, non era questo.
Indico la mia evidente sporgenza.
- Come si chiamava?
- A n d r e a.
Scandisce il nome lettera per lettera, dà un peso a quel nome. Il commissario è bravo nel suo lavoro.
- Andrea.
Ripeto.
- Piero lo avete preso?
- Non c'è nessun Piero.
È quasi una domanda.
Non c'è nessun Piero.
-C'è! È mio amico, è stato lui quella sera, non io.
- Pensaci bene.
- L'ho fatto. Dovete trovare Piero, è alto come me, potremmo essere fratelli...se lui non fosse esageratamente perfetto. Ha un profilo francese.
- Pensaci bene.
Ripete il commissario, sgrana il rosario delle sue convinzioni e io non capisco dove voglia portarmi.
La luce al neon sfarfalla e tutto sembra pulsare.
L'ombra del mio naso s'assottiglia, si piega e si riduce in una allucinazione perversa. La osservo e mi sento già distante.
Piero mi somiglia, è pettinato come me, mi capisce e mi precede. È di famiglia.
- Forse potreste assumerlo come cane, per l'olfatto. È un bravo cucciolo.
Suggerisce Piero al poliziotto.
Forse potrei, forse lo faranno. Piero è bravo a convincere le persone.
di Manuela Paric'
lunedì 7 aprile 2014
Altri racconti di altri: La preda perfetta di Mario Pacchiarotti
Emilio era già eccitato. Gli accadeva ogni volta. Già l’idea di
quello che stava per fare lo galvanizzava. Sorrise tra sé, scoprendo i denti
ingialliti mentre guidava a bassa velocità su una stradina secondaria, tra i
boschi. Una zona isolata e non troppo frequentata dove si poteva trovare
compagnia.
Pensò che si sarebbe divertito, sempre che fosse riuscito a
trovare la donna giusta.
I suoi gusti erano precisi, doveva essere alta e formosa, ma
soprattutto era importante che fosse bionda. Per fortuna erano caratteristiche
comuni tra le prostitute.
Non si vedeva anima viva. Le sue scorribande avevano spinto gran
parte delle donne di strada verso luoghi meno appartati. Nell’ultimo anno ne
aveva già ammazzate quattro. Forse sto esagerando, pensò, ma il dubbio non
durò che un attimo. I giornali lo chiamavano “predatore seriale”.
Sogghignò, gli piaceva. Ma dove diavolo erano finite tutte? Possibile che non
ce ne fosse neanche una in quella zona, un po’ più imprudente delle altre?
Proprio allora la vide, in fondo al rettilineo, appoggiata a un
albero. Già da lontano decise che era perfetta. Alta, capelli chiarissimi,
calze nere alla parigina, una giacchina nera che copriva appena il seno
prosperoso e lasciava intravedere gli slip. Perfetta, pensò, con
questa forse ci riesco. Era un suo cruccio, da anni riusciva a fare sesso
con una donna solo dopo averla ammazzata, ma ci sperava sempre.
Parcheggiò e scese, la trattativa fu breve. Si infilarono dietro
un grosso cespuglio a una ventina di metri dalla strada. La strinse a sé, e
così, in piedi, cominciò a spogliarla. Questa è la volta buona, pensò, sento
che con questa ce la faccio. Fu il suo ultimo pensiero prima di piombare a
terra, paralizzato e senza sensi.
Xaziulik lo osservò soddisfatto, con quella cattura il carico era
completo. Che fantastica tecnica di caccia! Il nuovo androide esca funzionava a
meraviglia; gli era costato, ma non c’era di meglio per attirare le prede.
Paralizzarli e caricarli a bordo era stato un gioco da ragazzi. Più tardi,
sulla nave, fece un calcolo mentale: solo dalla vendita dei testicoli agli chef
di Vega-3 sarebbe rientrato delle spese, e poi c’era il resto, ed era tutto
guadagno.
Sì, decise, sarebbe tornato più spesso.
di Mario Pacchiarotti
giovedì 3 aprile 2014
Poesia: Cammino
Si raccoglie la terra
caduta dalle scarpe
di passo in passo
di piede in piede
tra le strade di ieri
tra le strade di ieri
Manuela Paric' - 2001
Iscriviti a:
Post (Atom)