Oggi il cielo è meno grigio. Ho pensato a Rebecca, al lavoro, alle cose da fare. Ho dimenticato la leggerezza e così, con piglio rivoluzionario, ho riletto una poesia che avevo scritto nel 2004. Me ne sono ricordata perché mi piacerebbe poterla riscrivere. Non posso.
Qualcosa dovrà pur accadere
E nell'attesa
Mi trovo a pensarti
Sorrido
Senza dormire più
Manuela Paric', 2004
domenica 28 aprile 2013
venerdì 26 aprile 2013
Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 14
Ripropongo un raccontino scritto tempo fa. Oggi mi è capitato di leggere una testimonianza importante e me lo ha fatto tornare alla mente.
Titolo di giornale: Anoressia e bulimia:le malattie più diffuse tra i giovani
ed ecco il mini-racconto inerente:
ed ecco il mini-racconto inerente:
"Questa volta l'orrore me lo porto appresso", pensava la bimba guardandosi nello specchio. Ricordava di esser diversa, doveva essersi sbagliata. Le sue guance si gonfiavano ogni volta che le osservava, il culo esplodeva ed una certa tendenza bovina le squarciava l'anima.
L'ultima volta che si era osservata lo aveva fatto in modo semplice: i capelli neri, gli occhi scuri e l'altezza. Cosa era cambiato? Aveva mangiato troppo. E così lo spazio ed i luoghi che prima la abbracciavano ora la contenevano, ne sopportavano il peso e non ne digerivano l'affanno. Ogni angolo era un angolo infetto, un posto dove esistere malamente. Ogni centimetro del suo corpo era sbagliato. Si piegava e sentiva la pelle sfregare contro altra pelle e le mancava il fiato. Come poteva amarsi? Un mostro. E se non si amava lei, figuriamoci se l'avrebbero desiderata gli altri. Inaccettabile. Era arrivato il momento di riprendere il controllo, di decidere come vivere. Era invasa da una tale sofferenza che non sapeva da che parte iniziare. Era un dolore profondo, un disagio che andava oltre l'apparenza. Cominciò dalle piccole cose, concentrandosi su quel che poteva, come un vecchio saggio. Ricominciare. Così mise in moto il corpo, lo sigillò dentro i confini di una mente solida e dimagrì. Era potente. Era concentrata, ogni pensiero era rivolto a quel territorio isolato, a quel cadavere. L'intelletto, come una sentinella irreprensibile non le permetteva di muoversi da quella zona fatta di regole, rigore e morte.
Nello specchio c'era sempre lei: grassa, brutta, deforme.
All’inizio quando nessuno la guardava divorava in fretta merendine, biscotti, carne congelata, sugo, fino a sentirsi piena, fino a sentirsi scoppiare, fino ad andare oltre il limite concesso a qualsiasi creatura. Erano momenti brevi di disperazione e felicità. Poi tutto diventava impossibile.
La sensazione di essere di troppo e troppo, diveniva insopportabile. Le piaceva svuotarsi dai sensi di colpa, svuotarsi dai timori, ficcarsi due dita in gola e non essere altro. Che utopia. Era sempre in gabbia, sempre sotto controllo. Era potente, doveva ricordarlo. Stare da sola.
Una parte di lei amava Giulio, bellissimo Giulio dagli occhi blu ed il profilo impreciso.
Un'altra parte lo odiava, disprezzava sentire le sue mani tra le pieghe della carne e lo avrebbe ammazzato tutte le volte che le offriva del cibo. Maledetto infermiere. Seduta sul bordo del letto, si perdeva ad osservare il cielo incastrato tra le finestre. Cercava un modo per fuggire, per correre, per scomparire. Ci stava riuscendo.
La madre, accasciata allo stipite della porta, piangeva la sua bimba tutt’ossa. La vedeva stanca e la luce, bianca, dell'ospedale ne aumentava il pallore. Non c'era giorno che non si disperasse, che non si incolpasse, che non la stringesse per non farla andare via, per sempre. Non ci sarebbe riuscita.
di Manuela Paric'
giovedì 25 aprile 2013
Il mio 25 aprile in campagna
Oggi ho deciso di zappare, di dedicarmi alla terra, ferirla per una giusta causa, rivoltarla come si fa con le teste di polpo e farci uscire qualcosa di buono. Ho deciso di farlo in modo selvaggio, con forza, con entusiasmo. Lanciare semi, sudare e piegarmi, vinta dal mal di schiena. Non sarà facile. E' un'esperienza nuova, dolorosa. Forse non è nemmeno il periodo giusto e questo un campo fertile...ma del verde dovrebbe crescere e non gramigna, non gramigna.
Manuela P.
martedì 23 aprile 2013
Altri racconti di altri: Il vicino sul treno #4 di Paolo Marcotti
Il tempo, nel senso meteorologico ma non solo, è indefinito, a metà. Io ho fatto tardi e prendo un treno estraneo alla regolarità del mio pendolarismo.
Di solito non lo faccio, ma forse proprio l'orario e il clima inconsueti mi fanno guardare attorno in una involontaria, ma non troppo, ricerca di figure che mi accendano curiosità, colori, melodie.
Non ne trovo, si capisce. Perché non sono cose a cui si comanda.
Mi siedo allora dove lo spazio libero è massimo, per distendere le gambe, i pensieri, le letture, le fantasie.
Ho vagamente fotografato l'uomo seduto nell'unica posizione che si propone agevole alla mia vista.
L'ho già battezzato come scarsamente interessante e chiudo gli occhi, desiderando un sonno che sembra realmente sul punto di prendermi.
Però la fotografia sfocata di Gabriele rimane in qualche modo lì, tra l'occhio e la palpebra. Reclama.
E' vero, aspetto ordinario. Poco sotto la cinquantina, occhiali scuri, vestiti e scarpe non espliciti ma che ricordano qualcosa di militare.
E, nonostante gli occhiali scuri, una percepibile espressione arcigna, un cipiglio. O, più precisamente, un'incazzatura. Ma non irosa, non disgustata. Determinata, ecco.
Mi vedo costretto a riaprire gli occhi per acquisire ulteriori elementi.
Gabriele si fruga l'interno della giacca freneticamente, quasi avesse le pulci, e ne cava dei foglietti e un cellulare.
I foglietti, scritti a penna, contengono diversi numeri di telefono, e, non posso fare a meno di notarlo, tutti di persone di nome Mario.
Gabriele manda ad ognuno di questi numeri un messaggio. Questo messaggio: "Mario, non importa. Non chiedere niente, resta sereno. Di alcune cose non vuole parlare nemmeno Dio".
Gabriele si tradisce perché non ha pulito alla perfezione le scarpe. Quegli scarponi neri, quasi anfibi, conservano qualche traccia di fango, di un fango atavico, tante volte meticolosamente pulito ma che inevitabilmente mostra la sua storia. Il verde prevalente di cui Gabriele è vestito suggerisce che è fango di bosco, un bosco in cui lui si muove sicuro, svelto e familiare, quasi come un animale di montagna. Familiare. E' la parola esatta. Perché è il bosco che Gabriele ha preparato, verrebbe quasi da dire costruito, per sua figlia. Sua figlia, con cui è rimasto solo, è una creatura speciale. Dovremmo chiamarla folletto, se solo credessimo davvero alla loro esistenza. E un folletto ha bisogno del bosco, per vivere.
Gabriele non la ama come si ama una figlia, perché Gabriele non sa amare "come". La ama. E amarla è stato procurarsi un terreno. E amarla è fare di quel terreno un bosco, con le sue mani, con le sue forze.
Gabriele, con quell'apparenza che è tutto il contrario, ha anche lui qualcosa del folletto. E mentre siamo troppo concentrati nelle nostre indispensabili attività, ci sfila il telefono o l'agenda. Scorre veloce la rubrica e trascrive tutti i contatti di nome Mario.
Ogni Mario, un messaggio.
Ogni messaggio, un nuovo albero.
Il bosco si popola e sua figlia è felice. E anche Gabriele, dopo che ha piantato un nuovo albero. Niente più incazzatura, sorride.
Non vi chiedete perché proprio Mario. Non vi chiedete perché il messaggio.
Di alcune cose non vuole parlare nemmeno Dio.
Intervista sul Piccolo Doge
Eccoci con una nuova intervista ad un autore self: Manuela Paric' che ci parla del suo libro "L'enigma delle scarpe rosse" e della passione per la lettura e la scrittura creativa.
"L'osservare, il meditare, il disegnare, il colorire sono i quattro fondamenti su' quali riposa tutto il magistero dello scrivere."
Giuseppe Bianchetti
Buona lettura.
Benvenuto sul Il Piccolo Doge Manuela Paric'. Parlaci un po' di te.
Ciao Sylvia,
vediamo un po'... mi chiamo Manuela e scrivo da sempre. Quando ero bambina facevo finta di saperlo fare, scarabocchiavo interi quaderni... lineette, puntini, cerchiolini: era tutto nella mia fantasia. E' un vizio che mi è rimasto e perciò mi ritrovo ad inventare storie, a costruire la realtà con le parole e a deprimermi su infide pagine bianche. Abito nell'umida padania, amo la nebbia, il sole sbiadito ed i formaggi. Quando posso migro verso il mare (come facevan le pecore) insieme a mia figlia che occupa il 100% dei miei pensieri. Ho una casa infestata da animali di vario genere: un cane nudo, un micio ciccione, un pesciolino zombie ed una larva. Sì, una larva! Sono molto disordinata ma pragmatica, mi salvo per un pelo (ben piazzato sul mio divano). Cucino: impasto, sfornello e tiro la sfoglia, mi rilassa. Che altro dire...ti invito a cena? Ti fidi?
Il tuo libro "L'enigma delle scarpe rosse" è stato auto-pubblicato su Amazon, di cosa tratta, qual è la storia?
continua a leggere su:
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=363092773809837&id=161730787279371
"L'osservare, il meditare, il disegnare, il colorire sono i quattro fondamenti su' quali riposa tutto il magistero dello scrivere."
Giuseppe Bianchetti
Buona lettura.
Benvenuto sul Il Piccolo Doge Manuela Paric'. Parlaci un po' di te.
Ciao Sylvia,
vediamo un po'... mi chiamo Manuela e scrivo da sempre. Quando ero bambina facevo finta di saperlo fare, scarabocchiavo interi quaderni... lineette, puntini, cerchiolini: era tutto nella mia fantasia. E' un vizio che mi è rimasto e perciò mi ritrovo ad inventare storie, a costruire la realtà con le parole e a deprimermi su infide pagine bianche. Abito nell'umida padania, amo la nebbia, il sole sbiadito ed i formaggi. Quando posso migro verso il mare (come facevan le pecore) insieme a mia figlia che occupa il 100% dei miei pensieri. Ho una casa infestata da animali di vario genere: un cane nudo, un micio ciccione, un pesciolino zombie ed una larva. Sì, una larva! Sono molto disordinata ma pragmatica, mi salvo per un pelo (ben piazzato sul mio divano). Cucino: impasto, sfornello e tiro la sfoglia, mi rilassa. Che altro dire...ti invito a cena? Ti fidi?
Il tuo libro "L'enigma delle scarpe rosse" è stato auto-pubblicato su Amazon, di cosa tratta, qual è la storia?
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lunedì 22 aprile 2013
Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 13
Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...
Titolo di giornale: Insegue l'ex moglie e la uccide - Man chases, kills wife on freeway
- Non doveva superarmi. Vacca. Chi si crede di essere, con quel cappellino, imbranata. -
L'uomo accelera. È concentrato. Non c'è traffico, solo quella maledetta macchina prima di lui.
- Ora ti prendo! -
Sta per raggiungerla. Un semaforo lo rallenta, sbraita, tira fuori un braccio peloso dal finestrino e se la prende con ogni Santo. Intanto l'auto verde scompare, dietro una curva.
L'uomo tenta il recupero, fa fischiare le gomme, evita un anziano per puro miracolo. L'anziano cade per terra, rantola, il miracolo è finito.
Le due auto sono ora vicine, la donna è un buon pilota. Tranquilla, velocissima.
L'uomo la odia, guida da quando aveva 11 anni: prima il trattore nei campi neri del nonno, poi un pandino 4 ruote e per finire il successo sulle piste da rally. L'uomo è abituato a vincere. Dà gas.
La donna non esita, scivola sull'asfalto, danza. Svolta a destra, verso la campagna. Lo ignora. Si fa sera. L'aria è bagnata e la nebbia, densa, si alza lungo le rive. Un topolino attraversa la via ed un gufo, ciccione, lo insegue poco convinto fin dentro al bosco.
L'uomo tiene la mano sul cambio. Sa dove sta andando. Mezzo sorriso gli squarcia la guancia. Cambia marcia e sparisce in un viottolo nero alla sua sinistra.
Alcune case illuminate sembrano stelle. La donna pensa alla cena e a quando si toglierà le scarpe. Manca poco.
L'uomo ha guidato fortissimo, è sudato. Le mani si stringono sul volante e le nocche gli diventano bianche. Dietro di lui polvere e sassi ricordan le nuvole e fanno il rumore del temporale. Manca poco.
La donna rallenta su un piccolo dosso prima di un incrocio. Un diavolo rosso le taglia la strada, feroce. Felice. E lei non vede più niente. Nemmeno quel palo, quel palo in legno che le entra nel parabrezza e che le passa vicino al cuore.
L'uomo spegne il motore, corre, vuole vedere.
E' sua moglie, la sua. Un dolore profondo lo attraversa e lo scuote. Che cosa è accaduto?
La donna ancora si muove, ferita e lo scruta senza fiatare.
Che cosa è accaduto? Ripete l'uomo senza capire.
Gli aveva insegnato lui a guidare.
Gli aveva insegnato bene.
Troppo bene, pensa.
di Manuela Paric'
lunedì 15 aprile 2013
Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 12
Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...
Titolo di giornale: Rapina in trattoria, presi anche salami
ed ecco il possibile mini-racconto ....
- Come no! Certi fagioloni bianchi, lucidi, farinosi, ti ci volevan 3 morsi per mandarli giù. -
- Già...bei tempi. -
L'uomo con la barba arriccia il naso e gli occhietti, troppo piccoli per il grande viso, spariscono tra due grandi rughe.
L'uomo con la barba arriccia il naso e gli occhietti, troppo piccoli per il grande viso, spariscono tra due grandi rughe.
- La fanno ancora la trippa il giovedì, sai? -
- Si? Ma con che soldi ci andiamo? Pazienza...sono passati anni, non ci saran più gli stessi fagioli. Cambia tutto.-
- Hai ragione...però, però non è vita questa. -
- Una vita senza trippa? -
- Anche, una vita con troppo poco. -
- Mangia il panino e non lamentarti, finché c'è -
L'uomo con la barba mastica veloce, le briciole si incastrano tra i folti peli, e rimangono appese, incerte, lungo tutti i baffi. E' buffo l'uomo con la barba, e non lo sa.
- Pane e formaggio, e formaggio e pane. Mi verrà la nausea, prima o poi. -
- Vai a letto ora, si esce presto domani. E' giovedì, se troviamo lavoro andiamo a festeggiare. -
- Due piatti di trippa? -
- Certo Salvatore, certo! -
- Ce li meritiamo. -
La notte finisce in fretta, è ancora buio quando i due uomini si alzano, si lavano, si vestono ed escono in cerca di fortuna.
- Io provo dai russi e tu? -
- Mi faccio il giro dei bar lungo il vialone. -
L'uomo con la barba cammina male, la gamba sinistra porta i segni di un brutto incidente. Subito dopo esser stato licenziato aveva provato a fare il muratore, senza successo. Un'impalcatura alta più di due metri gli era caduta sul ginocchio, rovinandolo per sempre. Era un'esistenza grama la sua, per fortuna c'era Salvatore ad aiutarlo. In due non facevano mezzo stipendio, ma almeno si stavan simpatici.
L'uomo con la barba arranca lungo il vialone, il caldo di mezzogiorno si fa sentire così come la sua gamba. Non vuole sprecare 50 centesimi per un bicchier d'acqua, quando con 23 può avere un'intera bottiglia al discount. Deve solo pazientare. Pazientare è il suo motto da molto tempo, purtroppo.
Arrivato al termine della strada ritrova l'amico. Salvatore lo aspetta accasciato ad un palo, la faccia è quella di un uomo che ha fallito, i Russi probabilmente non avevan bisogno, nemmeno loro.
Si trascinano verso il parchetto, in silenzio. Siedono sulle panchine, di fronte ad un grande Pino.
- Come faremo a Natale?-
- Io non ho più parenti.-
- Beato te, io si.-
Si guardano negli occhi e scoppiano a ridere. Sinceri.
La giornata termina come è iniziata, nel buio.
- Sarà già pieno di clienti? -
- Sicuro! La signora Maria sa bene come gestire gli affari...e la sua trippa, è un ottimo affare! -
- Poi il posto è carino, io mi ci sentivo a casa.-
- Ora ci basta un materasso per sentirci a casa.-
- E del formaggio! Non dimenticare il formaggio!-
- La trippa fa bene solo a parlarne!-
Sono seduti per terra, accanto a loro una bottiglia di birra e del pane. La luce è quella di una candela e della luna.
Salvatore scoreggia.
- Stai ancora pensando ai fagioli?-
- Si, andiamo a prenderli! Facciamo i furfanti.-
- Ladri di trippa, non credo sia un grande reato.-
- Quindi andiamo?-
- Andiamo!-
I due si guardano ancora una volta, l'uomo con la barba è più buffo del solito, capita quando fa il serio.
Si vestono di scuro, si imbrattano il volto con la cenere e strisciano fuori nelle tenebre.
- Passami il piede di porco.-
- Non l'ho portato.-
- Passami un sasso.-
- Non faremo rumore?-
- Ormai siam qui, passami il sasso!-
L'uomo con la barba si sistema i pantaloni, si guarda attorno, non trova sassi, solo cemento. Si toglie una scarpa e la porge a Salvatore.
- Tieni.-
- Ma...puzza.-
- Non fare il cretino! Forza, rompi la finestra!-
La finestra va in frantumi, non scattano allarmi.
- Senti che odorino...-
- E' proprio come me lo ricordavo!-
- Guarda in frigorifero!-
- Ce ne è un pentolone!!!-
- Siamo fortunati.-
- Dovremo scaldarla?-
- Non qui!-
- Hai ragione. Ho fame, è il mio stomaco a fare certi pensieri.-
- Lo so, lo so. Prendo il pentolone e ce ne andiamo via. La mangiamo al parchetto, come dei signori.-
L'uomo con la barba inciampa nelle pentole, qualcuno si sveglia al piano superiore. Salvatore afferra qualcosa per difendersi.
- Non ce ne è bisogno, scappiamo!-
Corrono, svelti. La trippa ondeggia nel grande pentolone ed un po' ne cade, lungo la via. Arrivano alla loro panchina, hanno l'affanno. Respirano a pieni polmoni. L'uomo con la barba tira fuori due cucchiai dalle tasche dei pantaloni. Finalmente.
- Che ci fai con quel salame in mano?-, dice stupito a Salvatore.
- Era li, pensavo fosse un mattarello, ho avuto paura!-
- Avevamo detto solo la trippa, ricordi?-
- E' solo un salame, un buon salame.-
- E se ci arrestano? cosa gli diciamo?...volevamo la trippa ma abbiamo trovato un salame? Non ci crederanno. Seguiranno le tracce, le tracce di trippa! Lo senti l'odore? L'abbiamo lasciato ovunque!-
Salvatore si alza, afferra forte il salame e lo spacca sul testone buffo dell'uomo con la barba, che sviene.
- Prenderanno te, al massimo!-
Afferra il pentolone, il cucchiaio e fugge. Affamato.
di Manuela Paric'
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