Ho deciso di tenere memoria di queste mie prime vacanze in camper. Una memoria sottile come un formaggio fuso e rifuso. Scrivo in fretta, tra una buca e un panino.
Diario di viaggio: sesta tappa.
24-25-26-27 agosto 2014
Mancano quattro giorni alla fine delle
vacanze: uno di camping e il viaggio. Attraversiamo i paesini lungo la costa, pranziamo
in trattorie minuscole nascoste nei vicoli, camminiamo su pietroni lucidi e
antichi. Ci godiamo il brutto tempo.
I vicini della piazzola accanto
sono Italiani. Parlano allungando le vocali e attenuando le doppie. Ogni sera
sistemano il camper come se partissero e poi si mettono a cenare su un tavolino
minuscolo e traballante, si sorreggono con le forchette. Stanno gobbi. Mangiano
parmigiano e pasta e bevono vino. Il marito parla di quanto ha nuotato, di
quanto ha pescato, di quanto è bravo. La moglie non lo ascolta mai, annuisce e guarda
il piatto. Forse si amano, penso.
Hanno un bambino magro e con la pancia molle. E’ abbronzato solo in viso e i capelli sembrano cresciuti in un sol colpo. Gioca con Rebecca: le ordina di andare a destra e a sinistra, di fare questo e quello. Io gli avrei già ordinato di andarsene via, ma Rebecca è contenta, le basta avere qualcuno con cui correre. E corrono, saettano lungo il prato inseguendo un gatto.
Hanno un bambino magro e con la pancia molle. E’ abbronzato solo in viso e i capelli sembrano cresciuti in un sol colpo. Gioca con Rebecca: le ordina di andare a destra e a sinistra, di fare questo e quello. Io gli avrei già ordinato di andarsene via, ma Rebecca è contenta, le basta avere qualcuno con cui correre. E corrono, saettano lungo il prato inseguendo un gatto.
Il micio |
Il micio si fa prendere
e viene torturato, accarezzato, amato troppo. Io lo ricompenso con tanto cibo.
Ogni tanto ci portiamo verso la
spiaggia, il mare è scuro. Il padre del piccolo dittatore riesce sempre a
spaventare l’esperto pescatore, che fiacco nutre i pesci sul molo. Gli arriva
alle spalle e, senza salutarlo, inizia a parlare di politica. Si fa domande,
risponde e si incoraggia. L’esperto pescatore non pesca niente e rimpiange la
solitudine dei fiumi.
La sera cuciniamo il polpo. L’esperto
pescatore/camperista lo assaggia quando è ancora duro e gommoso. Impreca, si
tocca il dente debole e valuta l’ipotesi di sbarazzarsi di ogni tentacolo. Non
ha pazienza. Si sta vendicando,
dichiara. Ne ha ben donde, sostengo. Io non lo mangio, decide Rebecca. L’allegra
famigliola di italiani bussa, loro il polipo lo vogliono. Glielo diamo, vinti.
Il polpo |
Il giorno dopo Rebecca sta male,
rigurgita bile nel cestino della frutta. (Per fortuna non è colpa del polpo,
sarebbe stato un ulteriore smacco.) Passo la giornata a pulire e a guardare
cartoni animati di conigli rosa e saltellanti. Il bambino italiano osserva mia figlia
da oltre la zanzariera e non si dà pace. Mosso da compassione, l’esperto camperista rintraccia il gattino-troppo-buono e lo porta in cuccetta. Il micio si arrotola tra la sua coda e il braccio di Rebecca. Si addormentano. Mi
addormento. L’esperto camperista dorme. Con le prime luci dell’alba giunge un
grido. È l’esperto camperista folgorato sulla via di Damasco da un merdone di
proporzioni bibliche che il piccolo-minuto-dolce-micetto gli ha piazzato
proprio sotto il naso. Come era logico. L’esperto camperista si tira in piedi,
barcolla, non capisce nulla. Ha la bocca impastata e il fiato barricato. Bestemmia,
non sa che fare e quel che fa, lo fa male. Arrotola il tappeto annientando ogni
possibilità di pulirlo, incenerisce il gatto con un uno sguardo e quasi piange.
Deve assolutamente rimettersi a dormire, dico tra me e me. Prendo un sacco della spazzatura, ci infilo il tappeto, prendo anche il gatto e porto entrambi fuori dalla portata dell’esperto camperista. Appena sono da sola rido e una parte di me si congratula con il minuscolo felino.
Sono le 6.00 e un tedesco sta nuotando come se non ci fosse un domani. Io sbadiglio e me ne vergogno. Solo un po’.
Deve assolutamente rimettersi a dormire, dico tra me e me. Prendo un sacco della spazzatura, ci infilo il tappeto, prendo anche il gatto e porto entrambi fuori dalla portata dell’esperto camperista. Appena sono da sola rido e una parte di me si congratula con il minuscolo felino.
Sono le 6.00 e un tedesco sta nuotando come se non ci fosse un domani. Io sbadiglio e me ne vergogno. Solo un po’.
L’"incidente" fecale è stato
fatale, cambiamo campeggio inseguendo il temporale.
Giardino zen |
Appostato sul nuovo lido, solo e
triste, l’esperto camperista compone giardini zen per ritrovare quell’equilibrio
che non ha mai avuto. Si ferisce uno stinco e tutto pare tornare alla
normalità.
Tra la scogliera è il mare c’è un piccolo spiazzo in pianura, un palchetto artificiale costruito per le schiene dei turisti più esigenti. Lì, due individui stanno suonando. Sono un uomo e una donna sui cinquant'anni. Lui ha in grembo una chitarra, indossa una maglia celeste con un simbolo indiano sbiadito impresso sul davanti. Ha pochi capelli, quasi tutti sui lati. Lei è una donna ordinata, stretta in pantaloncini color mattone e camicetta bianca. Sul naso spicca un paio di occhialini severi. Abbraccia una fisarmonica. Sono seduti su sedie rosse e di legno. Di fronte a loro un leggio sottile offre un walzer triste. Il mare gorgoglia e in questo campeggio vuoto si sta per raccontare una storia. Sembra di essere in un film di Kusturica, attendo che un vecchio gitano con un dente solo ruzzoli dall'alto e inizi ballare con le ginocchia alzate. E anche il gomito. Arriva invece un cieco. Ha la barba bianca come il suo bastone. Tiene il tempo.
Tra la scogliera è il mare c’è un piccolo spiazzo in pianura, un palchetto artificiale costruito per le schiene dei turisti più esigenti. Lì, due individui stanno suonando. Sono un uomo e una donna sui cinquant'anni. Lui ha in grembo una chitarra, indossa una maglia celeste con un simbolo indiano sbiadito impresso sul davanti. Ha pochi capelli, quasi tutti sui lati. Lei è una donna ordinata, stretta in pantaloncini color mattone e camicetta bianca. Sul naso spicca un paio di occhialini severi. Abbraccia una fisarmonica. Sono seduti su sedie rosse e di legno. Di fronte a loro un leggio sottile offre un walzer triste. Il mare gorgoglia e in questo campeggio vuoto si sta per raccontare una storia. Sembra di essere in un film di Kusturica, attendo che un vecchio gitano con un dente solo ruzzoli dall'alto e inizi ballare con le ginocchia alzate. E anche il gomito. Arriva invece un cieco. Ha la barba bianca come il suo bastone. Tiene il tempo.
I suonatori |
L’arancio della
sua camicia hawaiana mi mette allegria.
L’uomo che suona segue lo spartito tenendo il
naso all’insù e più muove le dita sulle corde, più il naso gli diventa rosso e
le guance pure. Ha le mani pallide, sembrano mani importanti.
Piano piano simili a granelli di polvere i capeggiatori appaiono e si spargono tra i massi. Stanno in piedi, rigidi ma non indifferenti. Le orecchie tese e negli occhi la speranza che con la musica arrivi anche il sole. Le note vibrano e le teste oscillano. Siamo in ogni tempo. Non è né giorno, né notte. Ammassati tra gli scogli sembriamo dei fantasmi, dei riflessi. “I cattivi non esistono”, mi ha detto una volta un’amica e in questi momenti lo credo davvero. Siamo solo uomini abituati a diverse penombre, incastrati in questa vita indifferente. Rebecca prende un foglio, si mette a terra vicino ai due musicisti e disegna. Credo abbia capito tutto.
Il grigio del cielo sembra quasi metallo. Un coltello d'acciaio. Le nuvole iniziano a buttar giù gocce, piccole e pungenti. Nessuno si muove. Il ritmo aumenta, la melodia si interrompe e i piedi dei musici diventano dei tamburi. Mi sento primitiva, stranamente felice. La musica avvolge ogni cosa, coperta discreta e calda. Esonda sulla nostra pelle. Una ragazza giunge correndo e inizia a danzare, ruota su se stessa, salta. I capelli le coprono il volto e le braccia si allungano a richiamare la terra. E’ bello vederla ballare, non so se riuscirò mai a essere così libera. Con lei le note precipitano, si accavallano e si inseguono, veloci. Una corsa allegra e disperata. La donna della fisarmonica si alza, si mette un paio di occhiali neri da rock star anni 80 e chiede all'esperto campersita di scattarle una fotografia. Sorride e suona. Non sa ancora che verrà con la testa mozzata. Un cane enorme, ricoperto di macchie, sfreccia tra i villeggianti. Avanti e indietro. Le orecchie rimbalzano e il muso sembra fatto di solo naso, morbido e nero. La canzone si fa delicata e il cane piscia.
Piano piano simili a granelli di polvere i capeggiatori appaiono e si spargono tra i massi. Stanno in piedi, rigidi ma non indifferenti. Le orecchie tese e negli occhi la speranza che con la musica arrivi anche il sole. Le note vibrano e le teste oscillano. Siamo in ogni tempo. Non è né giorno, né notte. Ammassati tra gli scogli sembriamo dei fantasmi, dei riflessi. “I cattivi non esistono”, mi ha detto una volta un’amica e in questi momenti lo credo davvero. Siamo solo uomini abituati a diverse penombre, incastrati in questa vita indifferente. Rebecca prende un foglio, si mette a terra vicino ai due musicisti e disegna. Credo abbia capito tutto.
Il grigio del cielo sembra quasi metallo. Un coltello d'acciaio. Le nuvole iniziano a buttar giù gocce, piccole e pungenti. Nessuno si muove. Il ritmo aumenta, la melodia si interrompe e i piedi dei musici diventano dei tamburi. Mi sento primitiva, stranamente felice. La musica avvolge ogni cosa, coperta discreta e calda. Esonda sulla nostra pelle. Una ragazza giunge correndo e inizia a danzare, ruota su se stessa, salta. I capelli le coprono il volto e le braccia si allungano a richiamare la terra. E’ bello vederla ballare, non so se riuscirò mai a essere così libera. Con lei le note precipitano, si accavallano e si inseguono, veloci. Una corsa allegra e disperata. La donna della fisarmonica si alza, si mette un paio di occhiali neri da rock star anni 80 e chiede all'esperto campersita di scattarle una fotografia. Sorride e suona. Non sa ancora che verrà con la testa mozzata. Un cane enorme, ricoperto di macchie, sfreccia tra i villeggianti. Avanti e indietro. Le orecchie rimbalzano e il muso sembra fatto di solo naso, morbido e nero. La canzone si fa delicata e il cane piscia.
Lo stinco dell'esperto camperista |
Io rifletto su come queste vacanze pigre e ignoranti siano state scandite dalle condizioni meteo. Mi sento vicino agli uomini preistorici e arranco, con clava alla mano, per raggiungere la mia grotta. Il camper, manco a dirlo, è nell’occhio del ciclone. Una scure plumbea di corrente e gelo si è abbattuta su di noi.
L’esperto camperista ci rassicura:
“Non ci ribalteremo!”. Ora sì che sono preoccupata. I legni scricchiolano e le
sospensioni sobbalzano. Il camper è un tagadà. Per tranquillizzarci, l’esperto camperista gioca con la porta, la sfida. La apre
e combatte con il bicipite d’aria che prova a schiacciarlo. Non respira. Mugula, ha il polmone compresso dalle
raffiche. Vorrebbe smettere ma l’alluce gli si incastra in una guarnizione e
attende rischiando di soffocare. Il vento infuria, non so quale titano abbiamo
fatto arrabbiare. Ora cominciamo a parlarci ad alta voce, il
resto ce lo dice la natura.
– Facciamo un
esempio di fisica…– L’esperto camperista prende una scatola di biscotti, la
ribalta e un centinaio di briciole tracimano sul parquet.
– Facciamo
finta che questa scatola sia il camper. Vedete questo punto qui? – Ci indica un
fiore di vaniglia al centro del parallelepipedo.
– Questo è il
baricentro…– Vomita una spiegazione scientifica sui generis e io immagino di
essere in un film. Mi vedo con gli occhi dello spettatore da salotto e lo sento
dire “Uscite dal quel cazzo di camper! Cretini!”
Do ascolto allo spettatore da
salotto, ingabbio Rebecca in un k-way di 4 taglie più grande e mi porto dentro
la tormenta. Fatichiamo a stare in piedi. Non so come si chiami questo
ventaccio, se non è la Bora deve essere un suo fratello gemello. Tengo stretta
la mano di mia figlia, lei vola. Ha molta paura. Gli alberi si piegano, alcune
tende si librano tra le fronde e la spuma del mare ci bagna il viso. Davanti a
noi una roulotte tonda e vecchia sibila. Mi ricorda una fisarmonica. Mi chiedo
se i due cantori stiano già dormendo o se stiano prendendo appunti per una
nuova ballata. Rebecca sussulta, io la stringo forte e insieme avanziamo in
questa nuova avventura.
L’aria gira tra le ruote, si
infila tra i pannelli, si arrabbia e percuote i finestrini. Come una guerriera
vichinga sfonda gli oblò e prova a conquistarci. E’ tutto un boato, uno spingi
e trema. Nessuno di noi dormirà fino all'alba.