venerdì 17 maggio 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 15




Titolo di giornale: Uomo smembrato, spunta l´incubo serial killer

ed ecco il mini-racconto inerente:

L'ABILITA'

Guido era un uomo di 40 anni, il sorriso sincero e la pancia pure. Gli importava poco del suo lavoro, spalava merda nelle fattorie, ma non era per quello che non si curava del mestiere, era perché Guido, in tutta onestà, non sapeva fare niente. Non eccelleva in nulla: era un esemplare nella media, la media bassa a voler essere precisi. Guido si svegliava presto, all'alba, non si accorgeva delle venature del cielo, non badava all'arietta pungente che gli solleticava la punta del naso e non pareva interessato a far conversazione. Guido indossava la sua tuta, gli stivaloni e tanto gli bastava.
Tra gli amici non era certo il più cercato, né il più loquace, né il meno. 
Non si accorgeva della buona cucina ma riconosceva quella cattiva. Andava in vacanza a Rimini, all'Elba e in quelle isolette greche dove si beve come spugne e si ritorna stanchi.
Guido non leggeva, amava una donna... si fa per dire e dentro di sé, in un luogo molto distante, sapeva di non avere speranze.
Un giorno, costretto dalle paturnie del suo carburatore, prese l'autobus per andare dalla campagna alla città. Stava seduto, svogliato, fiacco a osservare la strada andare via, pezzo a pezzo, dal finestrino. Fu in quel momento, in quell'esatto momento, che vide parte della sua pelle rimanere attaccata al vetro. Uno scampolo di guancia, un millesimo di carne andato perduto. L'orrore. Il povero Guido era dilaniato dai dubbi. La paura di avere un'esotica malattia incurabile e seri timori sulla sua sopravvivenza lo avevano abbattuto. Sentimenti così violenti e disordinati da poter essere paragonati a feroci trombe d'aria, fenomeni maestosi che ti sconquassano, portandosi via il vecchio e facendo emergere nuovi orizzonti. Era nudo di fronte a se stesso, scarno, forse per la prima volta. Strinse con forza le mani sui braccioli e si accorse, non senza disappunto, di essersi separato di parte dei polpastrelli. C'era in quel forzoso distacco qualcosa di dolce, una malinconia dosata: l'estetica dell'abbandono. Capì - fatto singolare per lui - cosa avrebbe dovuto fare: lasciarsi andare, mettersi in scena, farsi prendere. 
Stava donando una parte di sé al mondo, al mezzo pubblico in quel caso. Stava tramandandosi. Un pensiero folle, intendiamoci, ma c'era, in quella pazzia un postulato profondo, una verità innegabile: Guido era capace di far qualcosa. Era padrone di un'abilità tutta sua: sapeva perdere se stesso, poteva darsi senza riserve e lasciare una traccia, come i poeti, come i geni. Consapevole di quella bravura iniziò a seminare unghie, peli, falangi un po' ovunque. Marcava il territorio. Alle poste si era sbarazzato di un quarto di chiappa, se lo meritavano! Non ricordava d'essere stato più felice, più leggero. Rideva, perdendo un canino. Rideva, salutando un polpaccio. Rideva, dividendo uno stinco.  Rideva di cuore. E a chi lo avrebbe lasciato il cuore? Quello era un bell'impiccio. Alla fine, perché a quella puntava, avrebbe dovuto separarsi anche dal suo muscolo migliore. Sua madre non lo meritava, suo padre era morto da un pezzo e alla scienza non sarebbe interessato. Che farne? Non aveva nostalgia del suo corpo, nessuna sindrome da arto mancante, aveva persino dimenticato con indifferenza il pene nella bocca di una prostituta ma... con il suo cuore, non voleva sbagliare. Per comprendere appieno le potenzialità del suo fisico, sempre più spesso si liberava di parti importanti e inventava nuovi modi per camminare, per parlare, per esistere. Sfiancato da tutta quell'arte e beneficenza, una sera di dicembre decise di dedicarla a se stesso. Respirava appena, sdraiato malamente sul grande divano. A tal punto indolenzito e solo capì di essere vulnerabile, di essere incompleto. Pianse. In televisione vecchi ritrovavano vecchie, bambini abbracciavano nonne e sgualdrine sembravano suore. Pianse. Un uccellino sconfitto dall'inverno volò sul davanzale, finito. Pianse. La luna, gigante, illuminava un cielo vivo e nero. Pianse. Sopraffatto da tutto quel sentire, percepì a stento il distacco, lieto. Vide il suo cuore rotolare sul tappeto, battere un'ultima volta e venire dimenticato. 

di Manuela Paric'

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