sabato 8 giugno 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 16

Titolo di giornale: Cadavere di donna rinvenuto in mare.

ed ecco il mini-racconto inerente:

Ogni coscia pesava 50 kg, tutto il resto meno, soprattutto il cervello, dicevano. Attaccata al mento, unta e rossiccia si allungava una barbetta incerta. I pori erano grossi e lui sudava anche solo a pensare. Molto. Dalle narici usciva aria calda e densa, come un animale da stalla, le usava per sottolineare i vari stati del suo umore. Il colore degli occhi non aveva importanza: li teneva stretti e meschini. Quasi nessuno lo aveva mai sentito parlare. Il fatto che avesse undici anni, credevano in molti, lo salvava dalla galera ma lo esponeva in modo crudele alle brutture della vita, di cui lui - certamente - faceva già parte da un pezzo, il pezzo forte.
La madre, una donnina poco più grande di un suo polpaccio, lavorava 20 ore al giorno, si lavava poco e dormiva solo per sopravvivere. Come aveva potuto partorire una tale anomalia? Questo e solo questo si chiedeva la gente ogni qual volta la notava trascinarsi stanca verso casa. Come aveva potuto? La realtà era cosa semplice: il destino di Gigio il gigante era già scritto nel suo profilo tondo, nei suoi calli prematuri e nei pensieri altrui. Sarebbe diventato un mostro, uno di quelli che ammazzano per divertimento, che ti schiacciano come si fa coi ragni. La maestra a scuola nemmeno lo interrogava tanto era convinta del suo futuro. I bambini invece, quando serviva, lo mettevano in porta, lì era una sicurezza: faceva ombra come un baobab e niente e nessuno passava, né giocatori, né pallone, né insulti.
Gigio il gigante viveva la sua esistenza scivolando, senza grazia, sul tempo: era quello che era e tanto gli bastava. Si preparava da mangiare, si lavava i vestiti e si augurava la buona notte. Controllava che la madre respirasse e quando tutto era fermo si dedicava a se stesso: costruiva aeroplanini di carta. Ne faceva di enormi, di veloci, di colorati, di incostanti. Li calcolava tutti, li disegnava, li progettava. Aveva un quadernetto pieno zeppo di numeri e note sull'aerodinamica. Volava, Gigio il gigante sulle coscione mai stanche della sua fantasia. Era pur sempre un bambino e quello gli era rimasto: il volo. Ciò che non sapeva è che i sogni, a volte, fan brutti scherzi, proprio come le persone cattive. Aveva trovato un cartone rugoso, spesso e nero. Duro come la lamiera di un camion e sufficiente per costruire un modello di aereo adatto ad una persona in carne ed ossa. Lo avrebbe portato sulla scogliera per farlo andare, sicuro, incontro all'orizzonte.  Nascosto e vivo, tra le pagine di formule, coltivava la speranza. All'alba di un giorno nuovo si intrufolò nella stanza della madre e, senza svegliarla, la portò via. Sarebbe stata la prima a fuggire nel vento. La prima a salvarsi. Lui, in fondo, aveva solo undici anni, poteva aspettare. La adagiò sul seggiolino di carta, le diede un bacio e spinse, spinse, fino a vederla volare, leggera. Si librava nell'aria, dritta contro il sole. Gigio il gigante, la guardava sparire, felice. Lontana dal lavoro, dalle malelingue, da lui. La osservava planare dolcemente, puntare verso il mare. Piaceva il mare a sua madre. Poi...non la vide più. Mai più.

di Manuela Paric

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