Titolo di giornale: "Ucciso nel cimitero"
e questo il mini racconto...un colore diverso dal solito...
Sulla collina c'erano tre lapidi.
Lì stavo andando.
La luce della luna le avvolgeva e i riflessi sul marmo sembravano lucciole.
In inverno, che idiozia.
C'era un unico cipresso, altissimo. Un gigante nero, un custode. Mi piaceva immaginare su un ramo una civetta e fingere di sentire l'urlo del vento tra le fronde.
Era la notte giusta.
L'aria ghiacciata s'era appoggiata sul sentiero e i sassi scivolavano sotto le mie suole come rivoli d'acqua. Io respiravo con la bocca aperta, a grandi sorsate, ero pronto. Avevo riempito la sacca con un panino e il coltellaccio da macellaio del nonno. Era arrugginito e ritorto, faceva paura. Oltre i cespugli gli animali selvatici stavano cacciando, c'era odore di foglie secche, di fango e d'escrementi. Sulle tombe erano cresciuti rovi ed erbacce. Gli epitaffi erano illeggibili e le tracce dell'uomo lontanissime.
Continuavo a camminare e pensavo a Giustina. Era buona e ingenua. Abbracciava il mondo con i suoi sorrisi e non aveva paura delle cattive persone, non le vedeva e basta. Aveva fiducia, una fiducia che io non avevo più da quando mi avevano chiamato per riconoscere il suo corpo vessato, torturato e stuprato. L'avevano lasciata con le gambe aperte, a testa in giù, con la faccia schiacciata dentro una pozza d'olio di motore. Era morta mezza nuda e mezza puttana. Odiavo tutti, nessuno meritava di vivere, non le persone, almeno. Ero rimasto a disperarmi per giorni, rifugiato dentro i miei pensieri, lontano da tutto, inerme. Ora invece, avevo un piano. Un progetto terribile, sanguinoso e definitivo. Avrei cancellato ogni traccia di male, tolto ogni speranza e restituito dignità alla terra. I buoni propositi richiedono coraggio, avevo anche quello. Ero abituato a farmi carico delle questioni importanti e sulle spalle portavo il destino del mondo.
Diedi uno strattone alla corda. Carlo, quel bastardo, avanzò trascinando i piedi. Sarebbe stato il primo. Non provava più nemmeno a urlare, i miei pugni gli avevano fatto passare la voglia, avevo spento ogni ribellione. Carlo era uno stronzo. Nato, cresciuto e confermato stronzo. Lo conoscevo da più di vent'anni e non lo sopportavo da altrettanti. Viziato dalla madre che amava, sportivo e bello. Si approfittava dei vecchi e rubava ai poveri. "Tanto son disgraziati", diceva. Aveva rubato anche a me: trenini, merende, fidanzate. Ero contento che fosse il primo.
Una nube grigia coprì la grande luna e in un attimo il buio ci prese. Un breve panico, un battito in più, paura.
E se non avesse funzionato? Non era possibile. Mi ero informato bene, era un buon piano.
Finalmente raggiungemmo la vetta. L'erba sembrava schiacciata dalla grandine e oltre il cipresso si vedevano i "brillori" della città. La mia città. Ne sarebbe rimasta cenere.
Legai Carlo alla lapide più grande, ben stretto. Quattro giri di corda e un calzino in gola. Era tardi, forse le due. Avevo la saliva amara e fame. Mi ero portato l'ultimo pasto: una baguette con la mortadella. La mangiai in fretta, divorai il maiale lasciando che il grasso mi ungesse le labbra e mi sporcasse le dita. Avevo bisogno d'energie, ne ero sicuro.
Carlo mi guardava, piangeva. Forse stava pensando fossi pazzo. Che sciocco.
Tirai fuori il coltellaccio e lo vidi sussultare. Sempre più sciocco.
- Non è per te.
"E per chi allora?" Sembravano dire i suoi occhi sbarrati.
- E' per me.
Era confuso.
No "amico", non ti arresteranno, non ti sto incastrando. Io sono un uomo d'onore, mantengo ciò che prometto.
No "amico", non ti arresteranno, non ti sto incastrando. Io sono un uomo d'onore, mantengo ciò che prometto.
Le stelle erano allineate. Iniziai a scavare a mani nude, così andava fatto; faceva male.
Carlo aveva smesso di porsi domande, sapeva d'esser spacciato e osservava il cielo.
Pregava?
- Non ti servirà a nulla. Dio è con me stasera.
E lo era.
Mi sistemai nella buca, mi buttai addosso qualche manciata di terra. Era fredda. Anche Carlo tremava, non mi importava.
- Sarai il primo, sarai il mio primo pasto e il mio primo figlio.
Ora Carlo pareva uscire dalla sua stessa pelle. Il terrore lo attraversava come una ruga profonda e rossa.
- Quando risorgerò.
Portai la lama arrugginita sotto la mia gola. Incisi, lieve. Non era facile come avevo creduto. Il taglio bruciava e piccole dolci gocce di sangue mi scorrevano lungo il collo. Non era abbastanza, dovevo morire.
- Cammineremo per le strade e contageremo tutti. Non preoccuparti.
Carlo stava urlando, un rumore sordo filtrava dal calzino.
Che sciocco, pensai ancora e quasi risi.
Sarei rinato più forte. Già mi immaginavo inarrestabile, rinvigorito nello spirito e con un unico modesto e potente obiettivo: divorare, estinguere. Come sarebbe stato assaggiare carne di vecchio o di bambino? Zuccherino, agro? Mi sarebbe piaciuto.
Sarei rinato più forte. Già mi immaginavo inarrestabile, rinvigorito nello spirito e con un unico modesto e potente obiettivo: divorare, estinguere. Come sarebbe stato assaggiare carne di vecchio o di bambino? Zuccherino, agro? Mi sarebbe piaciuto.
- Metteremo fine a questa umanità corrotta. Ci rialzeremo come putridi zombie e porteremo il furore e la pace. Così accadrà.
Fu violento, presi la rincorsa e mi tagliai la gola. Pochi secondi di dolore inzupparono la mia speranza. Sarei tornato.
Così credevo.
Passarono i giorni e anche Carlo morì, l'unica vittima. Che sciocco.
di Manuela Paric'
Manuela, ma tu che sei pure grafico, perché non scegli dei font più leggibili (o più piacevoli da leggere), un colore un po' meno violento del giallo... Pretty please? :)
RispondiEliminaEra da molto che dovevo cambiare il template...fatto!
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