lunedì 10 marzo 2014

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 18

Titolo di giornale: "Ucciso nel cimitero"

e questo il mini racconto...un colore diverso dal solito...

Sulla collina c'erano tre lapidi.
Lì stavo andando.
La luce della luna le avvolgeva e i riflessi sul marmo sembravano lucciole.
In inverno, che idiozia.
C'era un unico cipresso, altissimo. Un gigante nero, un custode. Mi piaceva immaginare su un ramo una civetta e fingere di sentire l'urlo del vento tra le fronde.
Era la notte giusta.
L'aria ghiacciata s'era appoggiata sul sentiero e i sassi scivolavano sotto le mie suole come rivoli d'acqua. Io respiravo con la bocca aperta, a grandi sorsate, ero pronto. Avevo riempito la sacca con un panino e il coltellaccio da macellaio del nonno. Era arrugginito e ritorto, faceva paura. Oltre i cespugli gli animali selvatici stavano cacciando, c'era odore di foglie secche, di fango e d'escrementi. Sulle tombe erano cresciuti rovi ed erbacce. Gli epitaffi erano illeggibili e le tracce dell'uomo lontanissime. 
Continuavo a camminare e pensavo a Giustina. Era buona e ingenua. Abbracciava il mondo con i suoi sorrisi e non aveva paura delle cattive persone, non le vedeva e basta. Aveva fiducia, una fiducia che io non avevo più da quando mi avevano chiamato per riconoscere il suo corpo vessato, torturato e stuprato. L'avevano lasciata con le gambe aperte, a testa in giù, con la faccia schiacciata dentro una pozza d'olio di motore. Era morta mezza nuda e mezza puttana. Odiavo tutti, nessuno meritava di vivere, non le persone, almeno. Ero rimasto a disperarmi per giorni, rifugiato dentro i miei pensieri, lontano da tutto, inerme. Ora invece, avevo un piano. Un progetto terribile, sanguinoso e definitivo. Avrei cancellato ogni traccia di male, tolto ogni speranza e restituito dignità alla terra. I buoni propositi richiedono coraggio, avevo anche quello. Ero abituato a farmi carico delle questioni importanti e sulle spalle portavo il destino del mondo.
Diedi uno strattone alla corda. Carlo, quel bastardo, avanzò trascinando i piedi. Sarebbe stato il primo. Non provava più nemmeno a urlare, i miei pugni gli avevano fatto passare la voglia, avevo spento ogni ribellione. Carlo era uno stronzo. Nato, cresciuto e confermato stronzo. Lo conoscevo da più di vent'anni e non lo sopportavo da altrettanti. Viziato dalla madre che amava, sportivo e bello. Si approfittava dei vecchi e rubava ai poveri. "Tanto son disgraziati", diceva. Aveva rubato anche a me: trenini, merende, fidanzate. Ero contento che fosse il primo.
Una nube grigia coprì la grande luna e in un attimo il buio ci prese. Un breve panico, un battito in più, paura.
E se non avesse funzionato? Non era possibile. Mi ero informato bene, era un buon piano.
Finalmente raggiungemmo la vetta. L'erba sembrava schiacciata dalla grandine e oltre il cipresso si vedevano i "brillori" della città. La mia città. Ne sarebbe rimasta cenere.
Legai Carlo alla lapide più grande, ben stretto. Quattro giri di corda e un calzino in gola. Era tardi, forse le due. Avevo la saliva amara e fame. Mi ero portato l'ultimo pasto: una baguette con la mortadella. La mangiai in fretta, divorai il maiale lasciando che il grasso mi ungesse le labbra e mi sporcasse le dita. Avevo bisogno d'energie, ne ero sicuro.
Carlo mi guardava, piangeva. Forse stava pensando fossi pazzo. Che sciocco
Tirai fuori il coltellaccio e lo vidi sussultare. Sempre più sciocco.
- Non è per te. 
"E per chi allora?" Sembravano dire i suoi occhi sbarrati.
- E' per me.
Era confuso.
No "amico", non ti arresteranno, non ti sto incastrando. Io sono un uomo d'onore, mantengo ciò che prometto.
Le stelle erano allineate. Iniziai a scavare a mani nude, così andava fatto; faceva male.
Carlo aveva smesso di porsi domande, sapeva d'esser spacciato e osservava il cielo.
Pregava?
- Non ti servirà a nulla. Dio è con me stasera.
E lo era.
Mi sistemai nella buca, mi buttai addosso qualche manciata di terra. Era fredda. Anche Carlo tremava, non mi importava.
- Sarai il primo, sarai il mio primo pasto e il mio primo figlio. 
Ora Carlo pareva uscire dalla sua stessa pelle. Il terrore lo attraversava come una ruga profonda e rossa.
- Quando risorgerò. 
Portai la lama arrugginita sotto la mia gola. Incisi, lieve. Non era facile come avevo creduto. Il taglio bruciava e piccole dolci gocce di sangue mi scorrevano lungo il collo. Non era abbastanza, dovevo morire. 
- Cammineremo per le strade e contageremo tutti. Non preoccuparti.
Carlo stava urlando, un rumore sordo filtrava dal calzino.
Che sciocco, pensai ancora e quasi risi.
Sarei rinato più forte. Già mi immaginavo inarrestabile, rinvigorito nello spirito e con un unico modesto e potente obiettivo: divorare, estinguere. Come sarebbe stato assaggiare carne di vecchio o di bambino? Zuccherino, agro? Mi sarebbe piaciuto.
- Metteremo fine a questa umanità corrotta. Ci rialzeremo come putridi zombie e porteremo il furore e la pace. Così accadrà.
Fu violento, presi la rincorsa e mi tagliai la gola. Pochi secondi di dolore inzupparono la mia speranza. Sarei tornato. 
Così credevo.
Passarono i giorni e anche Carlo morì, l'unica vittima. Che sciocco.

di Manuela Paric'

2 commenti:

  1. Manuela, ma tu che sei pure grafico, perché non scegli dei font più leggibili (o più piacevoli da leggere), un colore un po' meno violento del giallo... Pretty please? :)

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  2. Era da molto che dovevo cambiare il template...fatto!

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