"Nell'oscurità. Vivere al buio era semplice. Primitivo.
L’umidità imbrattava i muri ed entrava nelle ossa come uno stiletto, appuntito
e gelido. L’aria puzzava, ma al fetore ci si abitua in fretta, si appoggia ai
vestiti, sui capelli ed entra tra le pieghe della pelle per poi sparire,
assorbito."
venerdì 28 febbraio 2014
giovedì 27 febbraio 2014
Blog Tour: Germano Dalcielo.
Intervista a Germano Dalcielo. Fulmini a ciel sereno e punizioni corporali ci attendono.
BENVENUTO!
1. Ciao Germano, raccontaci di te, ma fallo come se fosse un serial killer a descriverti!
BENVENUTO!
1. Ciao Germano, raccontaci di te, ma fallo come se fosse un serial killer a descriverti!
Abitudinario, prevedibile, quasi metodico nella sua routine quotidiana. Avvisaglie di comportamento ossessivo-compulsivo per quanto attiene l’organizzazione e la programmazione della giornata. Tendenzialmente pigro e pantofolaio, tutto fuorché animale notturno, di bocca buona - come si evince dagli evidenti chili di troppo -, il suo punto debole potrebbero essere gli affetti familiari (la sorella e il cane).
Sì, un serial killer non avrebbe problemi a uccidermi. Sarei una preda fin troppo facile.
Ti ringrazio, lo riferirò a Tessuto! <ride>
Ti ringrazio, lo riferirò a Tessuto! <ride>
2. La tua opera più importante è IL PECCATORE. Parlaci dei retroscena, di come il pubblico lo ha accolto e di cosa significa per te.
Ho deciso di mettere mano alla penna dopo aver letto il Nuovo Testamento e in particolare una frase che mi aveva colpito del Vangelo di Giovanni: “E quel discepolo che Gesù amava, appoggiando il capo sul suo petto, gli chiese chi di loro lo avrebbe tradito”. Da qui è nata la mia personalissima illazione sulla vita privata di Gesù, che, vista la mentalità imperante, non pretendevo trovasse un’accoglienza favorevole presso il pubblico dei lettori. Sapevo che sarebbero spuntati quelli con la puzza sotto il naso, per non parlare dei bigotti (ho ricevuto una recensione negativa addirittura da un prete che la argomentava citando a sostegno passi dei Vangeli!) ma sinceramente non mi aspettavo tanta acredine. Rimane comunque la grossa soddisfazione dei risultati ottenuti nonostante i feedback poco lusinghieri e quella, che nessuno mi può togliere, dei complimenti ricevuti dagli “addetti ai lavori”. Sarò sempre affezionato a questo mio romanzo breve perché ha segnato la mia prima prova in assoluto con la fiction (il mio esordio, invece, è autobiografico) e anche perché, diciamolo pure, mi ha permesso di pagare qualche bolletta.
Sai come si dice "Non ti curar dei feedback ma curati dei feedback", è un mondo difficile e il futuro non è mai stato così incerto. <qualunquista mode on>
Sai come si dice "Non ti curar dei feedback ma curati dei feedback", è un mondo difficile e il futuro non è mai stato così incerto. <qualunquista mode on>
3. Mettiamo alla prova la tua abilità di scrittore (sono una cacca, lo so). Inventa per noi una brevissima storia di paura utilizzando queste 4 parole:
carota
secchiello
zampino
aspirapolvere
“Mamma, mamma!”
Quella mattina la signora Adele era intenta a passare l’aspirapolvere, così il figlio dovette sbracciarsi per richiamare la sua attenzione.
“Che c’è, tesoro?”
“Guarda! Il pupazzo di neve ha il naso arancione! Ieri non ce l’aveva!” esclamò Andrea indicando la carota infilata nel faccione di ghiaccio, lì fuori in giardino. Due sassolini neri per gli occhi e un rametto secco per la bocca completavano l’insieme, piuttosto buffo... continua a leggere
martedì 25 febbraio 2014
Estratto da L'enigma delle anime perdute. La televisione.
"In cucina strillava il
televisore: l’apparecchio bianco e tondo, probabilmente pesantissimo, era
sistemato tra il frigorifero e il calendario di Frate Indovino. Un faccione
arrogante disegnato dal cerone stava leggendo le ultime notizie. Tragedie e
miserie di diversa entità si impastavano a jingle pubblicitari: guerre,
banchieri corrotti, politici senza scrupoli e donne picchiate, uccise, vessate,
donne con i culi di fuori, donne dentro i cartelloni e pronte per mangiare la
banana. Orrori. Esecrazioni variegate, tetre quel tanto da essere ascoltate
abbracciando una boccia di popcorn al burro, possibilmente con occhialini 3D.
Erano leccornie croccanti, erotiche e maligne, da ingurgitare in fretta e
dimenticare con un rutto. Mocha, al contrario, non digeriva quelle succulente
notizie. Lo lasciavano in balìa di un profondo senso di incompiuto, scolpivano
nella sua mente un mondo malato e inguaribile. Lo avrebbe definito un inferno medievale. Un luogo in cui il male e il bene erano diventati concetti privi di significato
profondo. Al loro posto, un amalgama di fatti e fattucoli sottoposti al
pubblico, vile, munifico censore."
lunedì 24 febbraio 2014
Intervista a ... me sul blog di Linda Bertasi
Eccone alcuni stralci, di seguito il link per leggere l'intervista completa.
Un diploma al liceo scientifico, l’università, l’impiego come
consulente aziendale e una figlia. Dove trovi il tempo per dedicarti alla
scrittura?
Non lo trovo MAI! Scrivo anche sulla carta igienica e nelle
pause di CINQUE MINUTI…ho imparato a tenere il filo, guadagnando ovviamente un
esaurimento nervoso!
Sei un’appassionata lettrice. Quali sono gli autori che ti
hanno accompagnata in questi anni e dai quali non potresti mai separarti?
Troppi: ne elenco qualcuno a caso…come se fosse una seduta
dallo psicanalista!
Agatha Christie, Pennac, Benni, Dostoevskij, Kafka,
Bulgakov, Gogol, Simenon, Banana Yoshimoto, Giacosa, Mark Twain, Bukowski,
Zeno, Calvino, Ende…
Mi dica dottoressa, è grave?
Tutti diversi, tutti interessanti per motivazioni
differenti, tutti da leggere!
Anche il teatro non ti è indifferente, infatti hai appena
confezionato una commedia teatrale “WO HAR ISCH – la strana storia di tre
uomini e un fantasma”. Daccene un assaggio.
"Wo har isch (Dove c’è pelo)" è stato per me un
vero e proprio esperimento, attualmente è in fase di editing. Ero al mare, dispersa in un isolotto
dell’arcipelago delle Kornati. Non c’era nulla se non la natura selvaggia e una
barchetta che ci portava il cibo. La corrente elettrica era sufficiente solo
per avere la stanza illuminata la sera…così, in quella realtà amena e diversa,
ho tirato fuori un quaderno, una biro e ho deciso di scrivere qualcosa di
altrettanto ameno e diverso dal mio solito: una commedia ironica teatrale. E’
la storia di tre amici: un avvocato, un medico e uno studente fuori corso
infestati da un fantasma tirolese. Ritmi rapidi e battute su battute. Ho sempre
apprezzato i film di Lubitsch e Billy Wilder e mi sono ispirata a loro per
creare un racconto ironico, cortese e spero gradevole…nonostante qualche
imbarazzante peto!
Nel 2007, esordisci
con una raccolta di poesie “Capelli spettinati”. Parlacene.
Non è stato proprio un esordio, ma ti ringrazio. Era da poco venuta a mancare mia nonna, una
nonna giovane e bella che mi aveva cresciuta come una figlia. Avevo molto da
elaborare, in famiglia eravamo stanchi, disillusi e tristi. Quando è arrivato
Natale ho pensato di condividere con loro una parte di me. Tutto qua. Il libro
infatti è in versione cartacea e lo hanno letto poche persone. Ora sono
cambiate molte cose, il dolore si è tramutato in qualcosa di forte e profondo
che mi ha aiutato a definirmi come persona e a scegliere pezzi del mio futuro.
Ora forse, potrei considerarlo un libro di poesie e trattarlo come tale.
L'intervista continua sul blog di Linda :)
martedì 18 febbraio 2014
Estratto da "L'enigma delle anime perdute". La vecchia.
Una signora anziana era seduta su una poltrona di vellutino
marrone. Pareva dormisse. Era corpulenta e pallida; molliccia. Stava con le
gambe raccolte. I piedi, enormi, erano incastrati in un paio di ciabatte
ortopediche simili a zoccoli Scholl, ma più morbide. Il tallone, giallo e duro,
usciva di almeno tre dita e il pollice, rosso come una ciliegia matura, era
fuori di altre due, rivolto a uncino verso l’alto. I capelli ramati cadevano
stoppacciosi lungo le spalle. Il viso era stranamente magro e segaligno, fisso
in un’espressione di evidente sorpresa. Una schiumetta bianchiccia imbrattava
il labbro superiore, coprendo baffetti che davano alla signora una piacevole
aria austera. A terra, rovesciata, c’era una tazza di latte. L’ultima.
di
Manuela Paric'
Intervista: Ottavio Taranto pittore.
1- Ciao
Ottavio, che bello averti tra queste pagine. Ti va di raccontarci per immagini
chi sei? Trova tu il modo…lo sai, sono un essere perfido!!
Ciao, ti ringrazio; mi spiace deluderti ma non sei poi così perfida,
raccontarmi, anche se involontariamente, per immagini è la mia occupazione da
un bel po’ di tempo a questa parte... basterebbe una carrellata dei miei quadri per
estrapolare ogni lato del mio carattere attraverso questa: l'amore per gli
animali, i miti, i luoghi della mia infanzia. Eppure forse c'è un'immagine che
da sola riesce a comunicare qualcosa di importante: ho dipinto più di una volta
un fiore dentro una bottiglia di liquore, o vino.
In effetti
sono più scema che perfida…sarà stata l’emozione. Un fiore in bottiglia, un
fiore sotto spirito o lo spirito sotto vetro? Mi sento un pochino Marzullo,
perdonami.
Posso dire come mi sento quando non lo faccio: mi sento di non stare facendo
nulla, come se stessi sprecando del tempo. Tuttavia credo che nessuno che si
approcci alle arti per davvero abbia una missione. Una missione è spesso
rivolta al prossimo, e non si può fare arte pensando a cosa susciterà in
qualcun altro.
Io quando scrivo seguo l’onda, faccio surf con i miei pensieri. Cado,
rimbalzo sull'acqua, a volte affogo ma alla fine, quando riemergo sulla
spiaggia vedo che qualcosa è cambiato e all'orizzonte scorgo territori che
prima non esistevano. E’ questo che mi spinge a continuare: far emergere cose,
idee, personaggi.
3- Cosa hai pensato quando ti ho chiesto
l’uso del tuo magnifico dipinto per il mio prossimo romanzo?
Devo rispondere in tutta sincerità anche se questo può danneggiare la mia
immagine facendomi sembrare una persona egocentrica: la mattina del giorno
stesso in cui me l'hai proposto stavo proprio chiedendomi come mai ancora
nessuno l'avesse mai pensato. Li trovo davvero adatti per delle copertine; sarà
perché si prestano alla più libera
interpretazione e l'assenza dei titoli, in questo, favorisce parecchio.
Io la trovo perfetta: racchiude la mia storia, il senso di ciò che
racconto nell’Enigma delle anime perdute. Piccole violenze che annientano senza nemmeno farsi notare.
4- Scegli un tuo quadro e raccontacelo.
Mi viene
naturale raccontare dell'ultimo, strano. In ogni caso è un'opera non ancora
terminato, ma rappresenta due creature metà uomini metà animali, una scimmia
(ispirata a Pietro il Rosso, personaggio ideato da Kafka) e un gatto, il gatto
della mia ragazza per la precisione. I due sembrano intrattenere il dialogo che
avviene tra il viandante e la sentinella nel versetto del profeta Isaia.
Ho il sospetto che te lo ruberò per la prossima raccolta…
E' in atto un progetto segreto, segretissimo. Si tratta di un libro/catalogo sul reale significato di
quasi tutto il mio operato, ma logicamente è in continua lavorazione e non so
neppur io dove voglia andare a parare. Un buon samaritano più in là nel tempo,
se ne varrà la pena, si preoccuperà di raccogliere questi miei scritti.
A questo punto devo costringerti a dirci di più, a rivelare il segreto, a illuminare i nostri cammini con la tua poetica :D. Insomma…sono curiosa…PARLA!
Esistono
due scuole di pensiero, ho notato, a riguardo: la prima vede il tutto in
maniera negativa, la gente pensa che il mercato sia in declino, che un pezzo
d'arte sia un bene trascurabile; tutti sono quindi scoraggiati e scoraggianti
in partenza, ma è a mio parere una scappatoia troppo facile, giustifica il non
provarci neppure.
La seconda appunto, come suggerisci, comprende la quantità delle armi che la
rete ci offre.. per carità i tempi non
sono dei migliori ma adesso si ha la possibilità di far viaggiare il proprio
lavoro tramite internet, porlo sotto il naso di chiunque senza fatica, senza
muoversi da casa; si ha la possibilità di sapere se si svolgono concorsi, estemporanee
o qualunque cosa possa dare modo di esporre in qualunque parte del paese. Di
accedere a qualsiasi tipo di documentazione possa servire; potrei andare avanti
all'infinito nell'elencare tutti i
vantaggi che l'epoca ci garantisce e cosa avrebbero potuto fare, ci si trova
costretti a pensare, gli artisti di una volta cosa avrebbero potuto fare con
tali possibilità. Certo è un mondo dove girano parecchie truffe, ma basta
partire dal preconcetto che bisogna cercare di spendere poco o nulla, e non vi
si dovrebbe incorrere.
Diciamocelo, bisogna essere proprio scarsi o avere la volontà di una ciabatta
per non ottenere un tubo!
7- Quale la critica positiva che ti ha fatto sentire bene e quale la negativa
che ancora ti fa ribollire il sangue.
Mah, di critiche positive ne ho ricevute tantissime e mi rendono sempre
orgoglioso del frutto del mio lavoro allo stesso modo ma, proprio perché tante,
ho l'impressione alle volte che la gente ci si riempia la bocca.. è sempre
difficile discernere quelle sincere o meritate.
Vorrei poter dire che non mi toccano le critiche negative, ma sono costretto ad
ammettere che quelle ricevute da certe femministe (accezione negativa per me
quanto quella di maschilista) che non possono astenersi dal farmi notare che
alcuni miei lavori possono (anzi per loro lo sono sicuramente) essere offensivi
per la donna, m'infastidiscono
...Lo so che è l'ignoranza che parla, o
il semplice senso d'inferiorità con cui ancora, non capisco davvero il perché
visti i tempi, sono in perenne convivenza queste donne, ma fatto sta che si
presentano così cocciute da dare l'impressione che non cambieranno mai idea; e
questo, quando ci ripenso mi fa sentire frainteso e incompreso…perfino adesso
che rileggo queste righe mi sembra che siano fraintendibili, per cui preciso:
non odio le donne, provo antipatia sia per le donne che per gli uomini
indistintamente.
Apparterrei ad un libro di fantasia per bambini però non sarei il
protagonista bensì il cattivo che ruba il natale o roba simile ma, alla fine
non si scoprirebbe certo che anche in me si nasconde, in fondo, un animo
buono.. sarei un misantropo irrimediabile fino all'ultimo. Pensandoci bene non
sono sicuro possa trattarsi di un genere per bambini...
I soggetti dei miei quadri potrebbero avere una personalità simile, ma una
storia decisamente più interessante, qualcosa in bilico tra un horror surreale
e uno nonsense.
Accetto la sfida (cit. Barney di HIMYM)! Quindi la tua antipatia si estende non solo a uomini e donne ma anche ai bambini...bisogna essere anziani per farsi amare da te? :D:D:D
D'accordo.. : Cosa ne sarà di te e delle tue opere? ...Non lo so. Ma prima o
dopo tutto si ritroverà e mischierà nel vento.
Ancora qui sei? Vai a dipingere, sbrigati!!! E dimenticavo...grazie, è un vero piacere averti conosciuto :)
Trova Ottavio su:
tarovertaro@libero.it
giovedì 13 febbraio 2014
L'enigma delle anime perdute: sinossi, prefazione di Vera Q., primo capitolo!
Finalmente dopo innumerevoli sgambetti della vita, incidenti, abbuffate notturne, stasi e cavallette...finalmente il mio primo romanzo ESISTE! (Lo scriverò anche sotto i ponti e verrò fulminata)
In copertina un dipinto del geniale Ottavio Taranto.
Un sole pieno, giallo e caldo. Non una nuvola. Nessuna brezza. Afa. Le strade luccicanti come se fossero state cotte dentro una gigantesca fornace e piccioni che si riparano all'ombra di alberelli cittadini. Una Piacenza torrida e immobile. Un malato di mente fugge da una clinica, qualcuno muore, altri si fanno domande. Atmosfere vivide, una matassa di informazioni apparentemente inutili e uomini e donne che sono caricature di se stessi.
In questo scenario si muovono molti dei personaggi conosciuti nel racconto/prologo sperimentale “L’enigma delle scarpe rosse”, fra tutti Jean-Luc Mocha. Attraverso i pensieri, la flemma e l'emotività del protagonista il racconto si dipana confinando a margine della storia le autorità e le consuete indagini di investigatori infallibili.
Un giallo alternativo di circa 40.000 parole.
PREFAZIONE
C’è un uomo.
Un bell’uomo.
Un bell’uomo alto e vichingo.
Un tipo curioso, bizzarro come i suoi mocassini.
E poi ci sono una strega madrina, una fanciulla dalle gote delicate, il lupo cattivo, un principe azzurro, più simile a un cianotico ranocchio che al sogno romantico di ogni donna, un pezzo di formaggio andato a male, sassi levigati, pioggia inopportuna, grasse matrone d’Oltralpe e chiacchiere. Tante chiacchiere. Pettegolezzi di provincia. Sinuosi, serpeggianti, sussurrati con il sorriso.
Infine, cullata dalla calura estiva, c’è una piccola città scossa da efferati delitti.
Questa è la ricetta che Manuela Paric’ propone ai suoi lettori. Una discesa genuina nella piccineria umana, dove la violenza gioca a rimpiattino mescolandosi, subdola, tra le pigre pieghe grigie di un borgo dormiente. Non chiamatelo giallo, nessun protagonista di questa storia soffre di ittero.
Non definitelo noir, a meno che i temporali non vi oscurino lo schermo del Kindle.
Non bollatelo come thriller, questa non è adrenalina. È puro veleno.
E nessuna fiaba, sia chiaro, bensì una densa bruma che, come un sudario, vi avvolge.
Dunque auguratevi che il signor Mocha indaghi per voi. E qualora vi salvasse la vita, offritegli una tazzina di arabica purissima.
di Vera Q.
PRIMO CAPITOLO
01. SPAZIO LIBERO
L’infermiera svoltò l’angolo lasciando solo la luce fredda del giorno a occupare il lungo corridoio. Nella grande sala, un anziano vestito di blu era seduto accanto alla finestra; guardava fuori e muoveva la mano come se stesse dirigendo un’orchestra. Avanti e indietro, giocava con il vento, comandava le foglie. Le labbra rimanevano serrate, senza poesia, senza accenti, e gli occhi, sbiaditi e sudati, erano perduti.
Non sarebbe
stato un impiccio.
Un ometto non particolarmente
alto, decisamente non bello ma inaspettatamente agile, stava facendo scivolare
fuori dalle doghe del vecchio divano un camice bianco. Con le mani abili da prestigiatore
lo dispiegò in fretta e, in un unico gesto, se lo mise addosso. Nelle maniche
non nascondeva colombe ma due mocassini marroni e un paio di occhialini tondi e
seri. Accarezzò la punta delle scarpe e allineò i bottoni chiudendoli tutti con
grande cura. Faceva scorrere le dita sull’asola e tirava la stoffa. Era pronto.
Si diede un contegno, inspirò tre volte e, frugando tra le pieghe della
poltrona, raccolse una cartelletta da diagnosi e una biro nera. Con passo
tranquillo, cominciò a guadagnare l’uscita. Si ritrovò davanti alle camere dei
reietti e, come spesso accadeva, gli parve di sentire urla, imprecazioni e
formule occulte. Andò oltre; era necessario. Incrociò un inserviente intento a
scrostare dalla parete qualcosa di organico e marrone. Lo salutò alzando appena
le dita della mano che teneva lungo i fianchi, e questi rispose abbassando
ancora di più lo sguardo: era evidente che non era una gran giornata per lui, figlio
di partigiani, condottiero nello spirito e spalatore di merda nella cruda realtà.
“Mendoza” lo chiamavano i dottori per via della pelle ambrata e dura e per quei
lunghi baffi neri che gli imbrattavano il volto con garbo.
Doveva ancora attraversare il
cortile quando una giovane volontaria lo afferrò per un braccio. Un breve sussulto,
una modesta paura, subito abbandonata.
«Quale scala bisogna prendere
per raggiungere l’ala est, quella dei pazzi?»
L’ala est, quella dei pazzi, proprio così l’aveva chiamata quella
sgraziata donnina. Una magliettina infeltrita, scarpette comode e un sorrisetto
di cortesia: erano abbastanza per disgustarlo. Frenò gli istinti, ancora una
volta, e indicò a quella piccola cosa la via. Doveva fare in fretta. Avrebbero
notato la sua assenza. Avrebbero capito. Il sole bruciava, bruno. Si sentiva
ormai addosso il caldo di un’estate da vivere, la bramava. Non poteva correre.
Non ora. Non poteva indugiare. Non lo avrebbe fatto. La libertà era a tre
panchine, due matti e un gabbiotto da lui. Dribblò con successo una signora con
i capelli gialli e le calze viola. Sembrava un missile: sfrecciava roboante
nella sua direzione. Le caviglie grosse e le braccia tese, nella bocca il
violento desiderio di una sigaretta: una questuante. Una folle panciuta che
mendicava tabacco, vendeva storie, spacciava medicine e parlava con i piccioni.
Disegnate sui denti macchiati aveva le prove della sofferenza e dei baratti. Come
se non bastasse, un sorriso né triste né gentile, un sorriso sproporzionato le
spezzava il volto.
Che orrore, pensò. L’ennesimo
sporco accattone, un avanzo, un essere goffo da allontanare. Che repulsione!
Finalmente inserì la tessera magnetica, firmò il registro, ricambiò il rapido
sguardo della guardia che oziava incantata dal televisore e fuggì, leggero.
Per ora è disponibile solo in ebook, ma presto anche in cartaceo.
A 0,99 euro su Amazon
http://www.amazon.it/Lenigma-delle-anime-perdute-Manuela-ebook/dp/B00IEEKO3M
versione epub su http://www.smashwords.com/books/view/407978
itunes https://itunes.apple.com/it/book/lenigma-delle-anime-perdute/id820902696?mt=11&affId=2208823&ign-mpt=uo%3D4
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martedì 4 febbraio 2014
L'Altro di Vera Q.
E' nato. L'ultima immane fatica di Vera Q. ha preso vita. Io ho assistito alla fecondazione, alla gestazione e al parto. E' un bel libro ed è accompagnato da una mia breve, brevissima introduzione.
Eccola per voi! A seguire parte del primo capitolo del romanzo.
Introduzione
(di Manuela Paric')
«Salve, signore. Dove vuole che glielo metta il suo mezzo chilo di cuore?»
«Sul davanti. Ovvio.»
A questo punto c'è da chiedersi di chi sia quel cuore, se il davanti sia un nuovo petto e se il macellaio sia una persona perbene.
Potrebbe anche essere una semplice conversazione catturata in un giorno di mercato. Potrebbe. Ciò di cui siamo certi è la presenza di un organo grondante di sangue di cui discutere.
Vera Q. fa tutto questo.
Incarta le parole nella velina unta del pizzicagnolo, te le porge con un sorriso e ti ruba il resto.
Anche il protagonista della sua storia si trova a dover fare i conti con il proprio pacchetto. Ben confezionato, sia chiaro. S'affretta a scartarlo e vi trova dentro qualcosa da bollire a lungo in pentola, qualcosa di morbido, carezzevole, qualcosa di vischioso e personale: tutto il suo mondo. Un mondo divorato, masticato e digerito: puro cannibalismo dell'anima.
In un gioco al ribasso affiora, pagina dopo pagina, una folle e violenta fame che non ha nulla a che fare con i bisogni goderecci di un uomo grasso.
Buon appetito.
1. La fine
Il piccolo isolotto roccioso emerge lugubre dall'acqua immota, mentre il riflesso degli speroni di pietra affoga in un quieto mare scuro.
La Vita, qui, è ignorata dai colori. In questa landa desolata regna soltanto il silenzio.
Lo sguardo di chi osserva è catturato dal fitto bosco di cipressi che, posti al centro del quadro, dominano la scena dipanandosi in un frastagliato neo bruno, nero come una macchia d'inchiostro: la risultanza delle fatiche di un ragazzino maldestro alle prese con un vecchio calamaio.
Si scorge, sulla sinistra della tela, una risibile barca a remi, sulla quale una figura indistinta, luccicante e totalmente bianca accompagna una bara nell'ultimo viaggio.
Mia moglie Claudia, seduta, incollata e saldata al divano, e suo malgrado proprio sotto alla fedele riproduzione de "L'isola dei morti", dondola ossessivamente tenendo strette a sé le due gemelle.
La bocca, la sua, riarsa dalla sete, si spalanca di quando in quando per pigolare qualche frase sconnessa, mirata a placare il fuoco che divampa nel mio animo.
Ma quando sanguini a lungo, il dolore ed il dubbio mutano in odio corrodendoti le viscere, ed è in quel preciso istante che sai di poter cambiare il mondo. Questa è la lezione che ho imparato. E lei, Claudia, è stata una vera maestra.
«Manuel, io ti amo, ragiona! Slegaci, fallo per le bambine!»
Sposto lo sguardo sulle piccole, pigro. Due involtini rosa avviluppati da spago.
Selene e Selina, di sette anni, quattro mesi e otto giorni.
Selene e Selina, una coppia identica di femmine in miniatura.
Selene e Selina, uguali in tutto e per tutto: aspetto, abiti e carattere. Indistinguibili.
Mi osservano entrambe da dietro le lacrime, giudicandomi.
Potete comprarlo su Amazon al seguente link: http://www.amazon.it/dp/B00I8ANGGO/
Altri racconti di altri: Pianeta Tibet di Serena Zonca.
Pianeta Tibet
Kalden Gyatsho marciava. Ogni tanto riusciva ancora a
sollevarsi. A prendere fiato. E a lanciare lo sguardo oltre una china. Ma
sempre più spesso la fatica lo schiacciava. Dolorosamente. Al suolo. Seguiva le
impronte da giorni. E ancora non riusciva ad avvistare. La sagoma scura del
cingolato. Le pause erano sempre più frequenti. Il panico della staticità nel
riposo. Le grandi montagne lo irridevano. Con i lievi cappucci di nubi.
Trascinandosi, soffocava. Accelerò. La bocca spalancata. Per raccogliere sulla
lingua. Un soffio di velocità.
Il
missile comparve a una svolta del sentiero, due giorni dopo la morte di Kalden,
e non era affatto rassicurante. La gente del villaggio si spostava al suo
passaggio, recitando mantra agli dei-montagna. Un inizio di sassaiola fu
silenziosamente bloccato dal vecchio Chung Riwoche, preoccupato che l’ordigno
potesse esplodere.
“Il
momento è arrivato dunque”, pensarono all’unisono i settantadue abitanti del
villaggio. Guardavano perplessi i solchi dei cingoli sulla mulattiera e
ricordavano i giorni dell’inizio dell’esperimento, dopo i tragici eventi della
rivoluzione cinese, nell’anno ferro-scimmia. Da allora nessuno aveva più turbato
l’aria tersa e vibrante della valle nascosta. I primi sintomi di levitazione
spontanea e di comunicazione senza parole non erano riusciti a scalfire anime
che secoli di buddismo tantrico avevano abituato a ben altri miracoli. Il
fenomeno si affermò con tale delicatezza, e procurò tanti vantaggi alla
popolazione di Rinchen Po, isolata e priva di qualsiasi aiuto esterno, che fu
presto catalogato come qualcosa di piacevolmente inevitabile e immediatamente
accettato.
Forse,
dopo, i fondi si erano esauriti, persi nei meandri dei palazzi di Pechino.
Forse i progettisti erano morti portandosi nella tomba le formule dell’unico
prototipo anti-G funzionante. O magari l’inaccessibilità della zona scelta per
l’esperimento aveva annientato gli stessi ricercatori, sfiancandoli con i suoi
deserti senza monsone, l’aria rarefatta che cuoce i polmoni e le temperature
inverosimili del suo inverno.
Ma i
cinque generatori antigravitazionali piantati attorno alla valle nascosta
avevano continuato a funzionare, incustoditi e abbandonati all’autonomia
infinita delle loro pile atomiche.
Fino
al giorno in cui gli uomini al governo, risvegliati da un’improvvisa ondata
turistica, avevano temuto che il segreto gelosamente ignorato per quasi
trent'anni finisse in mani nemiche. Tutti avevano sottoscritto senza esitare,
come unica soluzione, la cancellazione del progetto e la terminazione di quanto
vi fosse collegato.
I
preparativi furono lunghi e laboriosi. Per giorni e giorni la presenza
incombente della testata, ancorata alle guglie innevate sopra i 5000 metri
rischiò quasi di paralizzare la vita di Rinchen Po. Poche furono le uscite con
le mandrie di yak dalle esili zampe. Quasi nessuno si levava sopra i tetti a
meditare. In privato, però, si officiavano sacrifici, bruciando incenso che
agitava nell’aria file di nuove bandiere di preghiera. E Tashi Ombar, dio della
grandine, cavaliere rosso dal triplice occhio, ascoltò le suppliche del suo
popolo e allontanò il pericolo dell’immobilità, più temibile della morte, dalle
loro vite.
I
due graduati si guardarono perplessi sulla soglia della tenda militare. L’attendente
indicava ancora, con il dito puntato e una mano alla visiera, l'enorme sigaro
incastonato nella torretta di lancio che fluttuava sopra le loro teste, alla
deriva. L’influenza silenziosa dei generatori aveva lentamente sottratto peso
alla sua materia letale. Poche centinaia di metri e il vento gli fece prendere
una direzione decisa, schiantandolo, con un boato che squassò il cuore stesso
del mondo, contro uno spuntone di roccia, proprio sopra l’accampamento cinese.
Della tenda e della scorta al cingolato, che aveva ucciso la sentinella Kalden
lungo il sentiero, non rimasero che pochi brandelli ondeggianti sull’altopiano.
di Serena Zonca
lunedì 3 febbraio 2014
Altri racconti di altri: La pagina bianca di Aurelio Bonazza
La pagina bianca
Una pagina bianca è tutt'altro che liscia.
Questa considerazione mi rapisce, come mille altre, e mi distrae definitivamente dal proseguire a scrivere il racconto che da un mese giace nelle bozze.
Fisso la superficie del foglio da diverse angolazioni e impercettibili ombre disegnano minuscoli rilievi, microscopici crepacci, che si rovesciano in una fittissima foresta di cunicoli di cellulosa: portano nelle viscere della pagina, dove l’inchiostro scorre e forma laghi neri ad ogni punto, ad ogni virgola.
Il racconto che sto scrivendo si è interrotto quando il mio personaggio, inseguendo il suo cane, si perde in un grosso mercato del pesce. Perso il suo cane. Perso lui. Perso anch'io, da così tanto tempo fermo in quel mercato, che comincio a puzzare come un’aringa.
Mi guardo intorno e non un solo rumore mi arriva alle orecchie. Solo l’odore di mare e il luccichio di scaglie fresche ragionano coi miei apparati sensoriali. Dietro una montagna di cozze faccio in tempo a veder scomparire il mio personaggio, alla disperata ricerca del suo cane.
Le campane di Sant'Agata fanno notare a tutti che tra poco è l’ora di pranzo ed io, già che sono lì, mi compro mezzo chilo di vongole e cinque grossi gamberoni da fare alla griglia.
Col mio pranzo prossimo venturo sotto braccio, mi inoltro nella boscaglia ittica convinto di riuscire a ritrovare le fila del mio racconto. Lo inseguo su questo foglio da giorni interi ed il mio pennino non lo afferra, non riesce a definirlo e a dargli il carattere necessario per essere vivo. In lontananza montagne di carta immacolata mi fanno sentire un insignificante granchio al cospetto dell’Oceano.
Dietro il banco delle seppie, l’inchiostro cola lento sull'asfalto e scivola in una specie di tombino. Proprio lì davanti scodinzola il cane scomparso. Faccio un passo nella sua direzione, ma lesto il cucciolo si infila nel cunicolo assieme all'inchiostro, guaendo. Non posso perderlo così e sparisco dietro di lui nel buio.
Sono nelle viscere della pagina, dove scorre l’inchiostro che dà vita alla storia, sono rimasto prigioniero del mio personaggio, che si è rivelato più furbo di me. Lui ha trovato l’uscita e mi ha lasciato al suo posto.
Inseguo un cane al mercato del pesce ed è l’ora di pranzo. Per sempre.
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