Pianeta Tibet
Kalden Gyatsho marciava. Ogni tanto riusciva ancora a
sollevarsi. A prendere fiato. E a lanciare lo sguardo oltre una china. Ma
sempre più spesso la fatica lo schiacciava. Dolorosamente. Al suolo. Seguiva le
impronte da giorni. E ancora non riusciva ad avvistare. La sagoma scura del
cingolato. Le pause erano sempre più frequenti. Il panico della staticità nel
riposo. Le grandi montagne lo irridevano. Con i lievi cappucci di nubi.
Trascinandosi, soffocava. Accelerò. La bocca spalancata. Per raccogliere sulla
lingua. Un soffio di velocità.
Il
missile comparve a una svolta del sentiero, due giorni dopo la morte di Kalden,
e non era affatto rassicurante. La gente del villaggio si spostava al suo
passaggio, recitando mantra agli dei-montagna. Un inizio di sassaiola fu
silenziosamente bloccato dal vecchio Chung Riwoche, preoccupato che l’ordigno
potesse esplodere.
“Il
momento è arrivato dunque”, pensarono all’unisono i settantadue abitanti del
villaggio. Guardavano perplessi i solchi dei cingoli sulla mulattiera e
ricordavano i giorni dell’inizio dell’esperimento, dopo i tragici eventi della
rivoluzione cinese, nell’anno ferro-scimmia. Da allora nessuno aveva più turbato
l’aria tersa e vibrante della valle nascosta. I primi sintomi di levitazione
spontanea e di comunicazione senza parole non erano riusciti a scalfire anime
che secoli di buddismo tantrico avevano abituato a ben altri miracoli. Il
fenomeno si affermò con tale delicatezza, e procurò tanti vantaggi alla
popolazione di Rinchen Po, isolata e priva di qualsiasi aiuto esterno, che fu
presto catalogato come qualcosa di piacevolmente inevitabile e immediatamente
accettato.
Forse,
dopo, i fondi si erano esauriti, persi nei meandri dei palazzi di Pechino.
Forse i progettisti erano morti portandosi nella tomba le formule dell’unico
prototipo anti-G funzionante. O magari l’inaccessibilità della zona scelta per
l’esperimento aveva annientato gli stessi ricercatori, sfiancandoli con i suoi
deserti senza monsone, l’aria rarefatta che cuoce i polmoni e le temperature
inverosimili del suo inverno.
Ma i
cinque generatori antigravitazionali piantati attorno alla valle nascosta
avevano continuato a funzionare, incustoditi e abbandonati all’autonomia
infinita delle loro pile atomiche.
Fino
al giorno in cui gli uomini al governo, risvegliati da un’improvvisa ondata
turistica, avevano temuto che il segreto gelosamente ignorato per quasi
trent'anni finisse in mani nemiche. Tutti avevano sottoscritto senza esitare,
come unica soluzione, la cancellazione del progetto e la terminazione di quanto
vi fosse collegato.
I
preparativi furono lunghi e laboriosi. Per giorni e giorni la presenza
incombente della testata, ancorata alle guglie innevate sopra i 5000 metri
rischiò quasi di paralizzare la vita di Rinchen Po. Poche furono le uscite con
le mandrie di yak dalle esili zampe. Quasi nessuno si levava sopra i tetti a
meditare. In privato, però, si officiavano sacrifici, bruciando incenso che
agitava nell’aria file di nuove bandiere di preghiera. E Tashi Ombar, dio della
grandine, cavaliere rosso dal triplice occhio, ascoltò le suppliche del suo
popolo e allontanò il pericolo dell’immobilità, più temibile della morte, dalle
loro vite.
I
due graduati si guardarono perplessi sulla soglia della tenda militare. L’attendente
indicava ancora, con il dito puntato e una mano alla visiera, l'enorme sigaro
incastonato nella torretta di lancio che fluttuava sopra le loro teste, alla
deriva. L’influenza silenziosa dei generatori aveva lentamente sottratto peso
alla sua materia letale. Poche centinaia di metri e il vento gli fece prendere
una direzione decisa, schiantandolo, con un boato che squassò il cuore stesso
del mondo, contro uno spuntone di roccia, proprio sopra l’accampamento cinese.
Della tenda e della scorta al cingolato, che aveva ucciso la sentinella Kalden
lungo il sentiero, non rimasero che pochi brandelli ondeggianti sull’altopiano.
di Serena Zonca
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