mercoledì 10 aprile 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 11



Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...


Titolo di giornale: Stati Uniti: nuovo caso di pedofilia.

ed ora il possibile mini racconto...


La madre piange, è sola. In mano ha un sonaglino azzurro a forma di coniglio, sul pavimento sono abbandonate alcune fotografie e dei disegni, coloratissimi.
Il sole entra, dorato, dalla grande finestra. La televisione è spenta e la primavera odora di buono. Un quotidiano è aperto sul tavolo di vetro e un gatto dorme, beato.

La madre invece piange e tutto intorno muore. Muoiono i segni di succo di frutta lasciati sul divano, muoiono le tracce di tempera sui muri bianchi, muoiono le impronte di piccole guance appiccicate allo specchio, muoiono i fiorellini lasciati a seccare, muore il giorno in un silenzio senza ritorno e senza sogni.

La madre piange mentre il futuro diventa un luogo impossibile ed il presente si trasforma in uno spazio insopportabile. La madre piange, abbracciata a quello che aveva e rimane lì, sospesa, ferma, a trattenere.

La madre piange e si alza, si prepara un caffè. Lui aveva i suoi occhi, il suo sangue, il suo amore. Non si erano amati da subito ma si erano cercati. Lui assetato, lei fertile. Lui piccino, lei desta. 
Avevano imparato a conoscersi: 5 anni di disastri e di conquiste, i 5 anni migliori. La madre li rivuole indietro, tutti, ogni secondo, ogni istante, ogni febbre, ogni incubo, ogni litigio, ogni abbraccio, tutto.
E così piange, piange perché non è Dio, piange perché il destino non esiste e piange perché il mondo è più povero senza il suo bambino, non c'è più scampo.

Il caffè si è raffreddato, il fornello è spento ed una goccia, indecisa, pende dal rubinetto della cucina. 
"La casa è in ordine.", pensa la madre ed una fitta cattiva le ricorda che ha uno stomaco e un cuore.
Il telefono squilla, squilla e squilla. Sono tutti partecipi e curiosi di fronte alla morte. "La mia" pensa la madre, non riconoscendo più nulla di se stessa.
Una zia le ha detto di farsi forza, di attendere, di sopravvivere. Una zia lontana. 
La madre piange, ogni consiglio le sembra inutile.
Non ha intenzione di rimanere ferma ad attendere il cadavere del suo nemico scorrere lungo il fiume. Non vuole vivere di solo dolore. Non cerca la pace.
La madre piange, apre la porta della stanza del figlio, si riempie i polmoni di quell'aria dolce. Una lacrima cade sul tappeto. La madre piange, per qualche minuto rimane sulla soglia, poi entra, si sdraia nel lettino, mette a posto le ciabattine dell'uomo ragno, accende la lampada origami e respira a pieni polmoni, ancora.

Sono passate ore, le cicale hanno smesso di cantare e la notte è scesa, tranquilla.
La madre piange, supera gli scalini che portano alla cantina. In mano ha una corda spessa e lunga. L'umidità le si attacca alla fronte, al sudore, agli occhi gonfi.
Non ha acceso la luce, conosce bene la sua cantina. Prende la corda, la fa passare oltre le travi di sostegno, prepara un cappio.
Si siede sopra una vecchia valigia, fuma una sigaretta. Pensa che la brace sembri una lucciola al buio, al suo bambino piacevano le lucciole, a lei no. Bestie agghindate, scarafaggi, fatine fasulle, demoni. Sono mostruose come l'uomo che gli ha portato via il figlio. Schiaccia la sigaretta, con rabbia, come si fa con le zanzare.
E' pronta. Accende la luce, sistema la vecchia valigia sotto il cappio. Indurisce i muscoli, tiene tesi gli addominali e vi appende un uomo grasso, legato come un salame. Gli occhi di lui implorano una pietà inammissibile. 
La madre piange, immagina il viso del figlio tra le cosce di quell'uomo grasso. 
C'è troppo orrore.
Spinge con il piede la valigia.
Troppo orrore.
Osserva il cadavere del suo nemico dondolare trasportato dalla corrente.
Inaccettabile.

di Manuela Paric'

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